Gods and Heroes of the Bhagavad-Gītā

Dèi ed Eroi nella Bhagavad-Gītā

una breve descrizione della mitologia dell'antica India com'è descritta nella Bhagavad-Gītā,
inclusi i termini tecnici e le spiegazioni alla luce della Teosofia

di Geoffrey A. Barborka


Pubblicato originariamente nel 1939 dalla Theosophical University Press. Traduzione italiana di Nicola Fiore © 2016. Quest'edizione può essere scaricata gratuitamente per uso personale. Tranne che per qualche breve estratto, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o trasmessa per uso commerciale o per altro uso senza chiedere il permesso alla Theosophical University Press.


Contenuti


Prefazione

La maggior parte dei Teosofi sa che H. P. Blavatsky desiderava particolarmente che durante le funzioni commemorative nel giorno della sua scomparsa — che lei voleva fosse chiamato Il Giorno del Loto Bianco — si leggessero alcuni brani della Bhagavad-Gītā. Dev'esserci stata una valida ragione per aver scelto quest'antico testo, e abbiamo le sue parole che affermano che la 'Gīta' è un'opera esoterica. Una chiave di quest'affermazione è che la prima parola della Bhagavad-Gītā (nel testo sanscrito) è Dharmakshetre, che significa 'sul campo del Dharma,' e indica che ciò che sta per essere raccontato accade non solo 'sul campo dei Kuru' (cioè Kurukshetre — la seconda parola del testo) ma sul campo della legge morale (dharma), e dev'essere interpretato in senso cosmico.

È ben nota la stima di W. Q. Judge per questo libro, e ne suggerisce un'interpretazione nella 'Premessa' alla sua Recensione.

I lettori della Bhagavad-Gītā hanno indubbiamente meditato sul significato delle numerose parole e nomi in Sanscrito in questo lavoro filosofico. Qualcuno, forse, essendo stato profondamente impressionato dagli insegnamenti trasmessi, ha cominciato a studiare il sottofondo dell'opera, e ha quindi acquisito una conoscenza del grande poema epico dell'India — il Mahābhārata — in cui si trova l'episodio della Bhagavad-Gītā . Ma il compito di cercare tutti i personaggi e trovare un significato soddisfacente dei termini è difficile. Per sopperire a un tale bisogno proponiamo questo manuale come un mezzo per raggiungere una comprensione più profonda dell'opera.

La Bhagavad-Gītā è preminentemente un trattato etico. Trasmette insegnamenti applicabili alla vita quotidiana, adatti al tempo in cui fu scritta. Questi insegnamenti sono considerati dal punto di vista di due sistemi di pensiero altamente filosofici, che all'epoca erano predominanti, cioè il Sānkhya e lo Yoga. Inoltre, vi è un retroterra filosofico e religioso che non è molto evidente nel soggetto, e che tuttavia è sempre presente: la mitologia dell'antica India, la cui valutazione è necessaria per un'esauriente comprensione della Bhagavad-Gītā. Ed è su tali linee che questo manuale fornisce dei ragguagli.

Uno studio della mitologia dell'Hindustan potrebbe essere diviso in tre periodi principali: 1) il periodo Vedico, che contiene l'esposizione originale delle divinità, ecc., come si trova nei Veda; 2) il periodo post-Vedico, consistente nelle Leggi di Manu e i due grandi poemi epici, il Mahābhārata e il Rāmāyaṇa; 3) il periodo post- Mahābhārata, come si trova nei Purāṇa.

Perseguendo questa linea di pensiero troviamo che insieme alle modificazioni subite dalle divinità durante questi tre periodi, vi è un corrispondente cambiamento nella prospettiva religiosa. Poiché le idee e i credi religiosi non cambiano all'improvviso ma sorgono lentamente e solo dopo considerevoli lassi di tempo, la conclusione che naturalmente ne ricaviamo è che devono essere intercorsi grandi periodi di tempo tra la produzione delle opere sanscrite citate prima, e che le opere stesse indicano la tendenza di pensiero del periodo in cui furono scritte.

I personaggi e i termini usati nella Bhagavad-Gītā rappresentano la prospettiva religiosa e la mitologia del periodo del Mahābhārata Tuttavia le informazioni date in questo manuale riguardo alle divinità comprendono i tre periodi ai quali abbiamo accennato. Questo schema è stato seguito per dare una spiegazione più esauriente possibile.

Sebbene ci siano voluminosi commentari sull'antica letteratura sanscrita, scritti da Saggi orientali, le chiavi per interpretare la mitologia dell'India non erano conosciute in Occidente fino a quando Helena Petrovna Blavatsky (fondatrice del moderno Movimento Teosofico) pubblicò i suoi libri. Comunque, queste chiavi non sono facilmente accessibili, perché sono disseminate nei suoi libri. Il tentativo, in questo manuale, è stato di mettere queste informazioni davanti agli studiosi. Là dov'era possibile, i significati interiori che H. P. Blavatsky dava ai termini o alle divinità sono stati inclusi (con l'aggiunta di riferimenti). Queste spiegazioni esoteriche sono di inestimabile valore, perché danno un mezzo per comprendere la Bhagavad-Gītā sotto una nuova luce. Notate la seguente citazione: l'autore si riferisce alla storia di Vaivasvata-Manu com'è raccontata sia nel Mahābhārata sia nei Purāṇa:

"Tutto questo, che al profano sembra un guazzabuglio, per l'occultista è pieno di significato filosofico. Alla superficie della narrazione è percepibile un significato segreto e sacro; tutti dettagli, comunque, sono talmente mescolati di proposito, che solo l'occhio esperto di un Iniziato può seguirli e collocare gli avvenimenti nel loro ordine.
La storia, com'è raccontata nel Mahābhārata, fa risuonare la nota-chiave, e tuttavia ha bisogno di essere spiegata dal significato segreto contenuto nella Bhagavad-Gītā. È il prologo del dramma della nostra (Quinta) Umanità. — DS II, 139. "

La migliore fonte d'informazione sui personaggi che troviamo nella Bhagavad-Gītā è il Mahābhārata stesso, perché le storie sugli dèi e sugli eroi vi sono raccontate dettagliatamente. Quest'epica è stata usata per il sottofondo della compilazione. È stata fatta una verifica consultando il Sanskrit Dictionary di Monier-Williams, ed è stata adottata la pronuncia sistematica di nomi e termini; anche per l'ortografia. Il lavoro di preparazione è stato materialmente aiutato dall'accesso a questa serie autorevole. Inoltre, il materiale è stato tratto dal Classical Dictionary di Dowson. La dovuta riconoscenza va a questi lavori, come pure alle opere teosofiche di H. P. Blavatsky e di G. de Purucker, perché la Teosofia illumina e chiarisce la comprensione dei termini sanscriti impiegati in questa letteratura.

I significati radice delle parole sanscrite sono stati collocati in parentesi alla conclusione degli articoli, perché il significato radice di un termine sanscrito fornisce la chiave per una comprensione esatta.

I nomi e i termini in questo libro sono quelli che appaiono nella 'Recensione' della Bhagavad-Gītā fatta da William Q. Judge (l'opera principalmente conosciuta dai Teosofi), e la sua ultima edizione (la sesta) è stata usata per l'impaginazione — che segue anche l'edizione del 1939, Point Loma.

Geoffrey A. Barborka
Theosophical University
maggio 1939


Abbreviazioni:

BG: Bhagavad-Gītā (W. Q. Judge's Recension). BG seguita da un numero si riferisce alla pagina in cui il termine o la frase appaiono (edizione originale1896, edizione Point Loma 1939.

DS: La Dottrina Segreta di H. P. Blavatsky

GT: Glossario Teosofico di H. P. Blavatsky

lett.: letteralmente

Manu: Le Leggi di Manu (Mānava-Dharma-Śāstra)

NBG: Notes on the Bhagavad-Gītā di Subba Row

* l'asterisco che precede un termine sanscrito significa: derivato dalla radice verbale


DÉI ED EROI NELLA BHAGAVAD-GĪTĀ

A

Achyuta Il non-caduto, cioé l'imperituro: un termine filosofico sul quale H. P. Blavatsky scrive: "Achyuta è un termine quasi intraducibile. Significa quello che non è soggetto a cadere o a cambiare in peggio: l'Infallibile; ed è il contrario di chyuta, il 'Caduto.' I Dhyani che s'incarnano nella forma umana della Terza Razza Radice e le forniscono l'intelletto (Manas) sono chiamati i chyuta, perché cadono nella generazione. (DS II, 47) Achyuta si applica a Vishṇu e a Kṛishṇa nel suo aspetto avatārico di Vishṇu: comunque, non come un'entità individualizzata ma in relazione alla condizione o stato di Essere Cosmico essenziale. (a, non; chyuta, da*chyu, muoversi avanti e indietro, cadere, svanire. BG 132)

Adhibhūta lett. 'Elemento Originale,' cioé il substrato primordiale o elemento della materia e di tutti gli oggetti, nel suo aspetto cosmico (adhi, 'sopra' che implica quindi superiorità,; butha, un termine usato frequentemente per 'elemento.' (BG 57)

Adhidaivata lett. Il divino originale e primordiale, cioè l'agente divino che agisce in tutti gli esseri e gli oggetti, e attraverso di loro. Un aggettivo generalizzante che si applica alla parte divina di qualsiasi essere dal punto di vista gerarchico: applicabile a Adhyātman. (adhi, sopra, che quindi implica superiorità; daivata, divino. BG 57)

Adhiyvajña, lett. 'sacrificio primordiale.' Cosmologicamente, si riferisce al Logos Cosmico, che nella Filosofia Esoterica significa sacrificare se stesso a beneficio del mondo: il suo venire in manifestazione rende capaci di venire in esistenza gli eserciti di monadi in attesa. Nel piccolo, ogni Avatāra ripete il sacrificio a vantaggio di tutto quello che vive. La Bhagavad-Gītā si riferisce a questo quando dice: "Adhiyvajña è me stesso in questo corpo," cioè, Kṛishṇa l'Avatāra in un corpo fisico. (adhi, superiore, supremo, e yajña, sacrificio. BG 58)

Adhyātman lett. 'l'Ātman Supremo o Originale,' il più elevato di una gerarchia, equivalente a Paramātman (adhi, sopra, che quindi implica superiorità, e ātman, il Sé. BG 57)

Āditya I dodici grandi dèi del pantheon hindu, a volte calcolati anche come sette (come nei primi periodi Vedici, e chiamati Varuṇa, il principale, Mitra, Aryaman, Bhaga, Daksha, Anśa, Sūrya): figli dell'infinitudine illimitata (Aditi). Questi grandi dèi sono stati conosciuti sotto molti nomi in differenti kalpa: sono gli eterni sostenitori della vita divina che esiste in tutte le cose. "Il saggio li chiama i nostri padri Vasu; i nostri avi paterni Rudra; i nostri grandi antenati paterni, gli Āditya; secondo un testo dei Veda: ben disposti." (Manu, iii, 284) Astronomicamente, i sette Āditya sono i reggenti dei sette pianeti. (DS I, 99) (significa: che appartiene o deriva da Aditi. BG 73)

Agni Il dio del fuoco, una delle divinità Vediche più importanti, al quale sono dedicati un enorme numero di inni, perché egli governa soprattutto sulla terra, ed è ritenuto il mediatore tra gli uomini e gli dèi, come protettore degli uomini e delle loro case, e come testimone delle loro azioni. Il fuoco è considerato in tre fasi: in cielo come il sole, nell'aria come il fulmine, e sulla terra come il fuoco comune. Agni è rappresentato vestito di nero, ha il fumo come insegna e copricapo, e regge un giavellotto ardente; ha quattro mani e sette lingue, con le quali lecca il burro usato nei sacrifici. Il suo carro è trainato da cavalli rossi; i sette venti formano le ruote del suo carro, ed egli è seguito da un montone. Esotericamente, Agni rappresenta l'essenza divina presente in ogni atomo dell'universo, il Fuoco Celeste; ed è questo il motivo per cui, nella sua manifestazione,               Agni è spesso usato come sinonimo di Aditya, i nostri Pitri spirituali. In questo senso, nelle Stanze di Dzyan il Fuoco è descritto come primario: "Lo Spirito, al di sopra della Natura manifestata, è il respiro ardente nella sua Unità assoluta. Nell'Universo manifestato è il Sole Spirituale Centrale, il Fuoco elettrico di tutta la Vita. Nel nostro Sistema è il Sole visibile, lo Spirito della Natura, il dio celeste. E nella Terra, sopra e intorno ad essa, il suo Spirito ardente — aria, fuoco fluido; acqua, fuoco liquido; Terra, fuoco solido. Tutto è fuoco — ignis, nella sua costituzione finale . . . I tre dèi principali sono Agni (ignis), Vayu, e Sūrya — il Fuoco, l'Aria, e il Sole, tre gradi occulti del fuoco." (DS II, 114) (BG 85)

Ahankāra (o Ahaṃkāra) Egoismo, nel senso di personalità: 'Io-sono-Egoità': nel suo aspetto inferiore nell'uomo è il principio egotico che produce la nozione dell'ego personale come se fosse diverso dal Sé-Uno Universale. Cosmicamente parlando, Ahankāra è "ciò che per primo è emanato da 'Mahat,' la mente divina; il primo abbozzo indistinto dell'Egocentrismo, perché il 'puro' Ahankāra diventa 'passionale' e infine 'rudimentale' (iniziale). (DS I, 452-3) (aham, Io; kāra, colui che agisce, il creatore;*kṛi, fare. BG 53)

Airāvata L'elefante creato dagli dèi al tempo del rimescolamento dell'oceano (vedi Ananta). Diventò il trasportatore speciale di Indra e uno degli otto Lokapāla, che sono gli spiriti cosmici che presiedono agli otto punti della bussola (Airāvata sorveglia l'Oriente) e sono strettamente affini ai quattro Mahārāja — i quattro 'Grandi Guardiani.' Sebbene i Lokapāla siano rappresentati come 'elefanti,' H. P. Blavatsky evidenzia che "tutti loro hanno un significato occulto." (DS I, 128) (significa: prodotto dall'oceano, irāvat, l'oceano. BG 74)

Ākāśa Il Quinto Elemento Kosmico: l'Essenza spirituale che pervade tutto lo spazio; infatti, può essere chiamato Spazio universale personificato — conosciuto, sotto quest'aspetto, come Aditi. È il substrato per le sette Prakṛiti (radici) di tutto quello che è nell'universo; così, in un senso è Mūlaprakṛiti (la Sostanza Radice Kosmica). La parola stessa, senza il suo significato filosofico, vuol dire cielo, spazio aperto, per cui è spesso tradotta come 'etere' dalle opere sanscrite ma, come H. P. Blavatsky evidenziò, Ākāśa "non è l'Etere della Scienza, e nemmeno l'Etere degli occultisti, che lo definiscono solo come uno dei principi di Ākāśa" (DS I, 296). Nelle scritture Brāhmaniche il termine è usato nello stesso modo in cui i Buddhisti del Nord impiegano Svabhavat più misticamente, Ādi-Buddhi. Qualcuno ha associato la Luce Astrale con Ākāśa, ma la prima non è che un riflesso di quest'ultima: "In parole povere, l'etere è la Luce Astrale, e la Sostanza Primordiale è ākāśa, l'Upādhi del pensiero divino." (DS I, 326) (*kāś brillare, apparire. BG 53)

Ambā La figlia maggiore del re di Kāśī. Per colpa di Bhīsma fu rifiutata dal suo corteggiatore, dopo di che si ritirò nella foresta e, dopo aver praticato severe penitenze, terminò la sua vita sulla pira funebre, e poi rinacque come Śikhaṇḍin. Il termine, nel testo, si dovrebbe leggere come Ambikā — la seconda figlia del re.

Ambālikā La terza figlia del re di Kāśī, che Bhīsma diede in sposa al suo fratellastro Vichitravīrya. Dopo la morte di quest'ultimo, lei sposò Vyāsa, e divenne la madre di Pāṇḍu. BG iii)

Ambikā La seconda figlia del re di Kāśī, sposata a Dhṛitarāshṭra. (BG iii)

Amṛita Il nettare degli dèi, bevendo il quale si otteneva l'immortalità; per cui è chiamato le acque dell'immortalità o l'elisir di vita. L'Amṛita fu prodotto quando gli dèi usarono Ananta per rimescolare l'oceano. Nei Veda, l'amṛita si applica al mistico Soma che fa dell'Iniziato un uomo nuovo. "Amṛita è al di là di qualsiasi guna [ qualità] perché è incondizionato in se stesso"; DS I, 348]. Misticamente, significa bere l'acqua della saggezza superna e bagnarsi nel suo potere che dà vita. (a, non; mṛita, morire. BG 74)

Ananta Il nome del Serpente Śesha, rappresentato con sette teste, e che forma il letto di Vishṇu, sul quale egli si adagia durante i pralaya. Śesha è chiamato Ananta (che significa senza fine, l'infinito) perché egli perdura attraverso i manvantara, come pure attraverso i pralaya, cioè durante i periodi d'attività e di riposo. Ananta è rappresentato mentre trasporta un aratro e un pestello, perché durante il rimescolamento delle acque allo scopo di produrre l'Amṛita, gli dèi usarono Śesha come una grande corda, attorcigliando la sua coda intorno al Monte Mandara, usandola quindi come una zangola. Ananta è anche il simbolo dell'eternità, cioè un serpente a forma circolare. Nei Purāṇa si dice che Śesha avesse un migliaio di teste — un'esagerazione della leggenda. Le sette teste del serpente "indicano i Sette principi attraverso tutta la natura e l'uomo; e la testa più elevata, o centrale, è la settima." (DS I, 407) (an, non; anta, fine. BG 74)

Ananta-Vijaya Il nome della conchiglia di Yudhishṭhira. (significa: l'eternamente vittorioso. BG 4).

Arjuna L'eroe della Bhagavad-Gītā raffigurato come il discepolo di Kṛishṇa è uno dei personaggi più interessanti e amabili del Mahābhārata. È il terzo dei fratelli Pāṇḍava, il figlio di Indra e di Pṛithā (o Kuntī) — per cui in tutto il poema è indicato come il figlio di Pṛithā, o anche come il figlio di Kuntī (in Sanscrito Pārtha e Kaunteya). Le sue gesta individuali sono estesamente narrate nel poema, e ciascuna è interessante. Come guerriero-eroe per eccellenza, le sue conquiste sono principalmente in campo marziale; così Arjuna è rappresentato come l'allievo favorito di Droṇa, che fu istruito nelle armi dagli stessi dèi (e dal quale ottenne armi celesti e anche il suo straordinario arco, Gāṇḍīva.) Per la sua abilità nelle armi, fu scelto come marito da Draupadī per una sua svayamvara ("libera scelta"). Durante un esilio volontario, Arjuna viaggiò fino a Pātāla (gli Antipodi, il nome con cui era conosciuta l'America nell'antico Hindūsthān) e lì fu corteggiato dalla principessa Ulūpī, che lo sposò (DS II, 214).
     Arjuna è meglio conosciuto nel suo rapporto con Kṛishṇa: il modo in cui Kṛishṇa divenne l'auriga di Arjuna è raccontato come segue: quando fu palese che doveva essere intrapresa una guerra tra i Kuru e i Pāṇḍava, sia Duryodhana che Arjuna sollecitarono Kṛishṇa per avere il suo aiuto. Duryodhana arrivò per primo, ma Kṛishṇa stava dormendo nel suo letto: stava ancora riposando quando Arjuna raggiunse il palazzo, così si appostò ai piedi del letto di Kṛishṇa, in modo che al risveglio i suoi occhi si posassero su di lui, che era il cognato (Arjuna era sposato con Subhadrā, la sorella di Kṛishṇa ). Subito ciascuno dei due eroi implorò Kṛishṇa di aiutare la propria causa, ma Kṛishṇa dichiarò che non avrebbe combattuto nell'imminente battaglia, sarebbe stato solo un consigliere; e poiché ciascuno aveva diritto al suo aiuto, Kṛishṇa diede ai suoi richiedenti una scelta: o il suo esercito efficacemente equipaggiato o la sua consulenza personale. A Duryodhana, che era arrivato per primo, fu concessa la prima scelta, e lui preferì l'esercito, dopo di che Arjuna fu molto contento di accettare Kṛishṇa come suo consigliere, e quest'ultimo acconsentì ad essere il suo auriga nella battaglia. E quindi Arjuna fu vittorioso.
     Di speciale interesse è il fatto che nel Mahābhārata vi è un secondo dialogo tra Kṛishṇa e Arjuna, conosciuto come l' Anugītā, che è anche più filosofico e più occulto del primo dialogo, ma poiché è più difficile da interpretare e tratta soggetti più astrusi, non è molto conosciuto. (DS I, 94-6)

"Arjuna che era chiamato Nara, era inteso come rappresentante della monade umana." (NBG 11)

"Kṛishṇa è il settimo principio nell'uomo, e la sua condiscendenza ad aver dato sua sorella in sposa ad Arjuna indica l'unione tra la sesta e la quinta razza." (bianco, chiaro.) (NBG 9) (significa: bianco, chiaro; ṛijra e*raj o*rañj, arrossare, ardere, e anche illuminare. BG 2)

Ārya Un uomo rispettabile, onorevole, leale; anche un abitante di Aryāvarta (India). Nei tempi posteriori il termine è usato come un titolo per le prime tre caste dell'antica India. (*elevarsi, tendere verso l'alto. BG iii)

Aryaman Il capo dei Pitri. È anche il nome di uno degli Āditya. (significa: un amico intimo. BG 75)

Aryana (vedi Aryaman)

 Asat Non-essendo, non-essere: nella filosofia hindu si applica all'universo manifestato che è illusorio, irreale, in contrapposizione a Sat — Esseità, Realtà. In questo senso, Asat è "la Natura, o l'ombra illusoria di quell'essenza vera e una." (GT) (a, non; sat, essere, esseità. BG 119)

Asita Uno dei Ṛishi Vedici, un discendente di Kaśyapa, intimamente associato con Devala. (BG 72)

Asura Originariamente il termine stava per spirito supremo (e così è usato nel Ṛig-Veda) ed equivale allo Zoorastriano Ahura Mazda; poi fu applicato alle divinità, come Indra, Agni, Varuṇa; ancora più tardi, indicava una classe di malvagi esseri elementali della natura e, di conseguenza, gli Asura sono chiamati demoni. Il Taitti rīya-Brāhmana rappresenta gli Asura come esseri creati dal respiro di Brahmā-Prajāpati, similmente alle Leggi di Manu, ma i Purāṇa indicano che essi nacquero dalla sua coscia. "Esotericamente, gli Asura, trasformati successivamente in Spiriti malvagi e dèi inferiori, che sono eternamente in guerra con le grandi divinità — sono gli dèi della Saggezza Segreta . . . Sono i figli del primordiale Respiro Creatore all'inizio di ogni nuovo Mahākalpa o Manvantara . . . Evidentemente sono stati degradati nello Spazio e nel Tempo dai cerimonialisti in poteri opposti o demoni." (DS II, 500-1) (*as, respirare. BG 65)

Aśvattha Il pippala, l'albero sacro indiano, ficus religiosa. Nel Buddhismo è chiamato l'albero Bodhi — l'albero sotto il quale il Buddha ricevette la piena illuminazione. Misticamente, "L'Albero della Vita," il grande Albero del Mondo, che simbolizza sia la struttura vitale dell'universo, sia le gerarchie cosmiche in tutte le loro varie interrelazioni. Le radici dell'Aśvattha "rappresentano l'Essere Supremo, o la Causa Prima, il Logos; ma bisogna andare oltre queste radici per unirsi a Kṛishṇa . . . I suoi rami sono i supremi Dhyan Chohan o Deva. I Veda sono le sue foglie. Solo chi va oltre le radici non tornerà più, cioè non si reincarnerà più durante questa 'era' di Brahmā. (DS I, 406-7) (BG 105) (significa: 'sotto il quale stanno i cavalli'; aśva, un cavallo; ttha, sthā: stare. BG 74)

Aśvatthāman Il figlio di Droṇa and Kṛipā (sorella di Kṛipa), uno dei generali dell'esercito dei Kaurava. Era uno dei tre guerrieri sopravvissuti alla fine della guerra, e allora fu fatto comandante. (BG 3)

Aśvin (o più correttamente Aśvinau, in quanto il termine stesso significa 'i due cavalieri.') Due divinità Vediche rappresentate come cavalieri gemelli, messaggeri di Ushas, l'aurora. Appaiono nel cielo su un carro trainato da cavalli d'oro, oppure da uccelli. I loro attributi appartengono alla gioventù e alla bellezza. Sono considerati come i medici degli dèi, e allontanano la malattia e la sfortuna dall'umanità; di conseguenza, molti inni Vedici sono dedicati a loro. Yāska, il celebre commentatore dei Veda, riferendosi ai 'cavalieri gemelli' come messaggeri della luce e dell'aurora, riteneva che rappresentassero il passaggio dalle tenebre alla luce, e la loro mescolanza produce quell'inseparabile dualità che è espressa dalla natura gemella degli Aśvinau. H. P. Blavatsky osserva: " . . . questi gemelli sono, nella filosofia esoterica, i Kumāra-Ego, i 'Principi' reincarnanti in questo Manvantara. (Vedi Aswin nel GT) (BG 78)

B

Bhagavad-Gītā, lett. Il canto di Kṛishṇa (o canto divino). Nel dialogo filosofico tra Arjuna e Kṛishṇa, quest'ultimo è rappresentato come l'Avatāra di Vishṇu, ma agisce come auriga di Arjuna. È esposto nella forma tradizionale di domanda e risposta tra il discepolo e l'insegnante, in versi di prosa metrica denominati śloka. Il metro è chiamato Anu-shṭubh e consiste di quattro pāda o quartetti in versi di otto sillabe ciascuno, o due righi di sedici sillabe. Il dialogo si trova nel sesto libro del Mahābhārata intitolato il Bhīsma-parva (il libro di Bhīsma), śloka 830-1532. "L'opera è preminentemente occulta ed esoterica," scrive H. P. Blavatsky nel Glossario Teosofico e afferma anche, nella DS II, 139, che vi è un "significato segreto contenuto nella Bhagavad-Gītā."

    "Lo scopo principale della Bhagavad-Gītā — che è una delle fonti principali della filosofia hindu — è di spiegare i principi superiori che agiscono nel cosmo, che sono onnipresenti e permanenti e comuni a tutti i sistemi solari" (NBG 108) (bhagavat, santo, divino; anche un nome di Kṛishṇa; gītā, canto)

Bharata Il nome di un gran numero di re ed eroi. Il solo al quale si fa riferimento nella Bhagavad-Gītā è del ramo Puru (o i Paurava) della Chandravaṇśa (Razza Lunare), il figlio di Dushyanta e Śankuntalā. Il nono re che discendeva dalla stirpe di Bharata era Kuru, e il diciassettesimo discendente di Kuru era Yudhisḥṭhira e i suoi quattro fratelli, cioè i Pāṇḍava. (BG 11)

Bhārata Un discendente di Bharata, e si riferisce sia ai Kaurava che ai Pāṇḍava, ma molto spesso è applicato solo a questi ultimi. Arjuna è spesso citato come 'il figlio di Bharata' o 'il migliore dei Bharata. (BG 11)

Bhīma Il secondo figlio di Kuntī avuto dal dio del vento, Vāyu. Attraverso tutto il Mahābhārata le notevoli imprese di Bhīma forniscono una divertente lettura: i suoi atti di valore e di forza sono imbattibili, specialmente quelli compiuti con la sua clava. Divise con Arjuna gli onori di conquiste valorose nel grande conflitto in cui i Pāṇḍava alla fine riuscirono a vincere. (significa: il terribile. BG 3)

Bhīsma — Il figlio del re Śantanu e di Gangā, la dea del fiume. Sebbene fosse il legittimo erede al trono dei Kuru, egli rinunciò al regno affinché i figli della seconda moglie di suo padre, Satyavatī, potessero governare in vece sua, ma rimase il protettore del trono. Così fu l'antenato sia dei Kaurava che dei Pāṇḍava (nel testo è denominato il grande antenato dei Kuru). Fu persuaso a schierarsi con i figli di Dhṛitarāshṭra e fu nominato comandante in capo. Fu ferito mortalmente nel decimo giorno del conflitto, ma poiché gli era stato concesso il dono di terminare la sua vita quando voleva, Bhīshma rimase ancora vivo per 58 giorni e istruì Yudhishṭhira sui doveri di un re. (significa: il terribile. BG 2)

Bhṛigu Uno dei più famosi Ṛishi o Saggi Vedici, considerato l'antenato dei Bhārgava (nella cui razza nacque Paraśu Rāma). È conosciuto come uno dei dieci Prajāpati (i figli di Brahmā nati dalla mente — ritenuti gli antenati della razza umana). È riconosciuto anche come uno dei nove grandi Ṛishi (nel Vishṇu-Purāṇa). Le Leggi di Manu furono trasmesse a Bhṛigu, e Manu lo chiamava suo figlio. Alcuni inni nel Ṛig-Veda sono attribuiti a questo Ṛishi. (BG 74)

Bhūta I resti in decomposizione dei cadaveri nel mondo astrale — la parte vera dell'uomo si è disfatta di queste parti grossolane del suo precedente veicolo; di conseguenza, sono i fantasmi o 'gusci,' gli eidolon o le ombre degli antichi. Popolarmente si crede che essi infestino i luoghi di sepoltura, ecc., perché questi resti, nel mondo astrale (invisibile) sono ancora attratti dai luoghi ai quali erano fisicamente legati. (*bhū, diventare, cioè le entità che precedentemente vivevano e sono trapassate. BG 68)

Brahmā Il primo aspetto della Trimūrti (o triade) hindu, l'emanatore o 'creatore' — gli altri due sono Vishṇu, il 'conservatore,' e Śiva, il 'distruttore,' o meglio, il 'rigeneratore.' Nei Veda non si trova né l'idea della Trimūrti né il nome di Brahmā; il creatore attivo lì è conosciuto come Hiraṇyagarbha o Prajapāti: nei periodi successivi il termine Prajapāti fu conferito a Brahmā (che significa 'il Progenitore'). In Manu è detto che l'anima suprema, il signore auto-esistente creò le acque e vi depositò un seme, seme che diventò un uovo d'oro (Hiraṇyagarbha) in cui egli stesso nacque come Brahmā, il progenitore di tutti i mondi.
    L'idea della Trimūrti è naturalmente presente nei poemi epici: Brahmā è raffigurato che nasce dal loto che spuntò dall'ombelico di Vishṇu. Da Brahmā poi nacquero i Figli nati dalla mente (i Prajapāti) che popolarono il mondo. Nei Purāṇa (specialmente nel Vishṇu-Purāṇa), Vishnu diventa più importante di Brahmā: quest'ultimo, nella sua totalità, è rappresentato come l'aspetto di Prakṛiti, entrambi evoluti e involuti (Mûlaprakṛiti), e anche come l'aspetto dello Spirito e l'aspetto del Tempo.
    Brahmā è infatti il veicolo o la guaina di Brahman: l'energia-coscienza spirituale o evolvente di un sistema solare, cioè il Logos, che deriva da Brahman. Si dovrebbe evidenziare che il termine sanscrito Brahman è sia maschile che neutro, e quindi ha due significati: per distinguerli, nella filosofia teosofica il maschile è pronunciato Brahmā (la forma nominativa), mentre il neutro è pronunciato Brahman.

"Brahmā, come 'il germe delle Tenebre sconosciute' è la forma materiale da cui tutto evolve e si sviluppa, 'come la tela dal ragno, come la schiuma dall'acqua,' ecc. . . . Brahmā 'si espande' e diventa l'Universo intessuto dalla sua sostanza." (DS I, 83) (*bṛiḥ, espandersi, crescere, che significa anche fruttificare). (BG 56 — dove dovrebbe essere pronunciato Brahman. BG 61)

Brahmacharya Seguire una vita di allenamento filosofico e religioso — di solito applicabile al primo stadio nella vita di un Brāhmaṇa dei tempi antichi, significa lo stato di uno studioso dei Veda, religioso non sposato. (Brahman, lo Spirito Cosmico — che in alcuni casi significa 'saggezza spirituale'; charya, condotta). Chi segue questo modo di vivere è chiamato un Brahmachārin. (BG 46)

Brahman Il Principio impersonale e inconoscibile dell'Universo, che implica sia l'aspetto della coscienza essenziale, sia quello della sostanza: così rappresenta il sottofondo spirituale dell'Universo, la Causa di tutte le Cause. "Lo studioso deve distinguere tra Brahma il neutro e Brahmā, il creatore maschile del Pantheon indiano. Il primo, Brahma o Brahman, è il Principio impersonale, supremo e inconoscibile dell'Universo, dalla cui essenza tutto emana e tutto ritorna, e che è incorporeo, immateriale, non nato, eterno, senza inizio né fine. È il dio supremo che tutto pervade e tutto anima, come pure il più piccolo atomo minerale. Brahmā, d'altro canto, il maschio e il supposto Creatore, esiste solo periodicamente nella sua manifestazione, e poi va di nuovo in pralaya, cioè, sparisce ed è annichilito." (GT) Brahman è quello che in Teosofia è chiamato il Logos Immanifestato: attraverso di Lui, quindi, e da Lui, nasce Brahmā (*bṛiḥ, espandersi, crescere. BG 58)

Brāhmaṇa (speso anglicizzato come brahman o Brahmin) La più elevata delle quattro caste in cui erano divise le classi sociali dell'Hindūsthān nei tempi post-Vedici. In origine, un Brāhmana era uno che era nato due volte (cioè dvīja, o iniziato), ma nei periodi di decadenza, il termine fu usato semplicemente come una prerogativa ereditaria, e quindi applicato ai membri della casta sacerdotale. (BG 127)

Bṛihaspati La divinità che rappresenta l'adoratore degli dèi: il supplice e il sacrificatore, designato come il Purohita (sacerdote di famiglia), perché egli intercede presso gli dèi per conto dell'umanità, e protegge anche gli uomini giusti dai malvagi. È spesso nominato come il padre degli dèi a causa dei suoi poteri creativi, ed è chiamato lo splendente, colorato d'oro. Bṛihaspati è pure il reggente del pianeta Giove. La lunga leggenda su sua moglie Tārā, che è portata via da Soma, la luna, e la conseguente guerra in cielo (Tārakāmaya), è raccontata nella Dottrina Segreta (II, 498-9) ed è interpretata da H. P. Blavatsky. (*bṛiḥ, crescere grande, espandersi; pati, signore. BG 74.)

Bṛihat-Sāman Il nome degli inni nel Sāma-Veda, scritti nel metro Brihatī, cioè i metri di 36 sillabe (originariamente scritte 8-8-12-8. (Bṛihat, il metro Brihatī; Sāman, un verso sacro da cantare. BG 76)

Buddhi Il sesto principio nella classificazione teosofica delle parti componenti dell'uomo. Come veicolo dello Spirito Universale, Buddhi è inseparabilmente vincolato ad Ātman e considerato come il suo veicolo. È il canale per l'ispirazione divina che emana da Ātman, e anche la facoltà del discernimento, e la conoscenza del discernimento tra bene e male, e quindi è coscienza spirituale. Quando è risvegliato nell'uomo, il principio Buddhico evoca un amore compassionevole per tutti, la comprensione immediata, e l'intuizione. Un uomo così pienamente risvegliato è chiamato un Buddha . . . l'Anima Spirituale (Buddhi) . . . nasconde un mistero che non è mai svelato a qualcuno, ad eccezione dei chela irrevocabilmente impegnati. (La Chiave della Teosofia) (*budh, risvegliare, illuminare. BG 28)

C

Chakra Un termine con un numero di significati: una ruota, un cerchio, un disco — l'arma di Vishṇu (quindi, anche un simbolo della divinità); un ciclo o periodo di tempo; anche i centri fisiologici della vitalità prānica nel corpo umano. Nel Buddhismo, il chakra è un simbolo favorito, associato soprattutto a Gautama il Buddha, perché egli è rappresentato seduto su un nuovo chakra in movimento: si fa spesso riferimento ai suoi discepoli che divulgano il suo messaggio come quelli che "girano la ruota." Per quanto riguarda l'arma di Vishṇu, il chakra significa "la ruota vorticosa della volontà e del potere spirituale." (W. Q. Judge, nota; BG 80)

Chekitāna Un alleato dei Pāṇḍava: un figlio di Dhṛishṭaketu (o Kaikeya), il suocero di Kṛishṇa e Rāja dei Kekaya (una delle principali nazioni nella guerra del Mahābhārata). (BG 2)

Chitraratha Il re dei Gandharva. (significa: che ha un bel carro. BG 74)

D

Daitya, lett. I discendenti di Diti — dal Rishi Kaśyapa. I Daitya sono i titani (popolarmente chiamati demoni), sempre in guerra con gli dèi; a volte sono vincitori, altre volte sono sconfitti. "La prima guerra iniziò nella notte dei tempi tra gli dèi [e] gli (A)-sura, e durò per il periodo di un 'anno divino.' In quell'occasione le divinità furono sconfitte dai Daitya sotto il comando di Hrada. Dopo di che, con uno stratagemma di Vishṇu, al quale gli dèi vinti chiesero aiuto, essi sconfissero gli Asura. Nel Vishṇu Purāṇa, non si trova nessuna pausa tra le due guerre. Nella dottrina soterica, una guerra ha luogo prima che si costruisca il sistema solare; un'altra, sulla terra, alla 'creazione' dell'uomo." (DS I, 419) Il significato delle guerre, quindi, è che i Daitya rappresentano gli impulsi del progresso evolutivo nello schema cosmico. (BG 75)

Dasra Una delle divinità gemelle del cielo, gli Aśvin, padre di Sahadeva — il quinto Pāṇḍava — avuto da Mādrī. (Nel testo è scorrettamente pronunciato come 'Darsa' — (BG iv) (che significa 'compiere azioni meravigliose.)

Deva Una divinità, un essere spirituale. Al plurale, i riferimenti sono agli esseri celestiali o spendenti chiamati, nel Ṛig-Veda (ii, 3, 4), viśve devā, 'tutti gli dèi' — spesso calcolati come 33 (spesso raffigurati come 11 per ciascuno dei 'tre mondi') o anche come gli 8 Vasu, gli 11 Rudra, i 12 Aditya, e i 2 Aśvin. È la stessa numerazione che troviamo nel Mahābhārata. I tre mondi sono i "tre piani sopra di noi." Il termine è generalmente reso, anche se imprecisamente: 'dio,' come evidenziato da Subba Row: "Non fate l'errore di pensare che il termine Deva significhi un dio, e che, avendo trentatrè crore[1] di Deva, dobbiamo quindi adorare trentatrè crore di dèi. Questo è uno sfortunato sproposito generalmente commesso dagli europei. Il Deva è un tipo di essere spirituale, e poiché la stessa parola è usata nel linguaggio comune per intendere un dio, non bisogna pensare in alcun modo che abbiamo e adoriamo trentatrè crore di dèi. Questi esseri, come possiamo naturalmente desumere, hanno una certa affinità con uno dei tre componenti upādhi [principi basilari] in cui abbiamo diviso l'uomo." (NBG 37-38 — cioè l'upādhi del Kāraṇa-śarīra (da div, il cielo, il paradiso. BG 74)

Devachan Un termine composto sanscrito-tibetano (deva, un essere divino, una deità; chan, regione). Lo stato dell'ego dopo la morte tra due vite terrene, quando sta in un'assoluta beatitudine e perfetto riposo. In questo stato tutte le aspirazioni e gli aneliti intellettuali della vita passata trovano una piena realizzazione. Il Devachan è "oblio assoluto di tutto quello che arrecò dolore o sofferenza nella passata incarnazione, e anche oblio del fatto che esistano la sofferenza o il dolore. Il Devacianico vive il suo ciclo intermedio tra due incarnazioni, circondato da tutte le cose alle quali aveva aspirato invano, e in compagnia di tutti quelli che aveva amato sulla terra. Ha raggiunto l'appagamento di tutte le aspirazioni dell'anima. E così vive per lunghi secoli un'esistenza di purissima felicità." (La Chiave della Teosofia, 148) (BG 51)

Devadatta Il nome della conchiglia di Arjuna. Questa conchiglia fu data ad Arjuna da suo padre Indra, la divinità del cielo, dopo la riuscita conclusione della spedizione che egli aveva chiesto di fare contro i daitya del mare, che avevano afflitto le divinità, e che furono conquistati da Arjuna. (significa: donata da dio. BG 3)

Devala Un Ṛishi Vedico discendente di Kaśyapa: si ritiene che abbia scritto alcuni inni dei Veda, in particolare il Ṛig-Veda ix. (BG 72)

Deva-sthāna lett. "La dimora di una divinità," o qualsiasi luogo in cui una divinità sta o ha la sua dimora. Equivale a Deva-loka (il termine usualmente impiegato). (deva, un essere divino; sthāna, un luogo, una dimora. BG 67))

Dhanañjaya (o Dhanaṃjaya) Un nome di Arjuna (dhana, premio, benessere, ricchezze, e jaya, vincitore, conquistatore: da qui, 'vincitore del premio,' o 'conquistatore del benessere.' (BG 4)

Dhṛishṭadyumna Il Fratello di Draupadī, figlio di Draupada, il re di Pañchāla. Fu fatto comandante in capo dell'esercito Pāṇḍava, e uccise Droṇa dopo aver perduto suo fratello nel grande conflitto. (significa: fiducioso nella forza. BG 4)

Dhṛishṭaketu Un alleato dei Pāṇḍava: figlio di Śiśupāla, re della terra dei Chedi — viveva nel distretto dell'odierna Bundelkhand (o Bundelcund). I Chedi erano rinomati per il loro attaccamento alle antiche leggi e istituzioni. (significa: fiducioso nella chiarezza, BG 2)

Dhṛitarāshṭra Il figlio maggiore di Kṛishṇa Dvaipāyana Vyāsa e di Ambikā (vedova di Vichitravīrya), che era nato cieco. Era il padre di Duryodhana (il più anziano di 100 figli), avuto dalla regina Gāndhārī, e a lui affidò il governo del suo regno ad Hastināpura. Quindi, si schierò con i Kaurava (cioè i figli di Kuru, come erano chiamati Duryodhana e i suoi seguaci, piuttosto che con i Pāṇḍava, i figli del suo fratellastro Pāṇḍu. Vyasa offrì a Dhṛitarāshṭra la visione, ma egli rifiutò il dono, in quanto non poteva sopportare la vista del fratricidio e della carneficina nell'imminente battaglia a Kurukshetra; nondimeno, nutrendo un forte interesse per ciò che succedeva, come mostrano le stanze d'apertura, si fa narrare da Sañjaya tutti gli avvenimenti che accadevano. Con la vittoria finale dei Pāṇḍava, Dhṛitarāshṭra detronizza Yudhishṭhira ad Hastināpura, e con sua moglie Gāndhārī, e Kuntī, si ritira nella foresta, dove tutti persero la vita in un incendio.
    W. Q. Judge suggerisce l'interpretazione che Dhṛitarashṭra rappresenti il corpo fisico dell'uomo — vedendo la vicenda dal punto di vista dello sviluppo evolutivo dell'uomo. (significa: colui il cui impero è solido. BG 1)

Doab (Indostano) Una regione, una terra situata tra due fiumi. Il particolare riferimento è al paese tra i fiumi Jumnā e Sarasvatī, che nei tempi antichi era la terra dei Kuru. (Scritto anche duab, Persiano; , due; āb, acqua; dal Sanscrito, dva, due; āp, acqua. BG iii)

Draupadī Il patronimico di Kṛishṇā, la figlia di Drupāda, re di Pañchāla. A uno svayamvara (un raduno per sfoggiare le imprese di abilità allo scopo di consentire alla figlia di un re di scegliersi lo sposo) Draupadī scelse come sposo Arjuna, ma quando egli ritornò da sua madre Kuntī con i quattro fratelli e annunciò che aveva fatto una grande conquista, lei disse ai figli che erano obbligati a condividerla. Per questo, e anche per l'insistenza del loro antenato, il saggio Vyāsa, fu deciso che Draupadī sarebbe diventata la moglie dei cinque fratelli. Anche il Mahābhārata racconta che Draupadī, in una vita precedente, aveva ricevuto il vantaggio che sarebbe stata sposata a cinque mariti. I Draupadeya (i figli di Draupadī) cui si fa riferimento nel testo erano i cinque figli dei Pāṇḍava, di nome: Prativindhya (figlio di Yudhishṭhira), Sutasoma (figlio di Bhīma); Śrutakīrti (figlio di Arjuna), Śatānīka (figlio di Nakula); Śrutasena (figlio di Sahadeva). Simbolicamente Draupadī rappresenta 'la vita terrena della personalità.' (BG 2)

Droṇa Un Brāhmaṇa figlio di Bharadvāja, che sposò Kṛipā, la sorellastra di Bhīsma, dalla quale ebbe un figlio, Aśvatthāman. Egli era l'āchārya (insegnante di arti marziali) dei principi Kaurava e dei Pāṇḍava. Pur amando imparzialmente i principi, tuttavia, a causa del loro rapporto con Bhīsma, si alleò con i Kaurava nel grande conflitto a Kurukshetra. Le parole dette al 'precettore' nella seconda śloka (com'è narrato da Sañjaya — BG 2) erano indirizzate da Duryodana al suo insegnante Droṇa. Quando Bhīsma fu mortalmente ferito sul campo di battaglia, Droṇa divenne comandante in capo dell'esercito Kaurava. (BG 2)

Drupada Il figlio di Pṛishata, re di Pañchāla (la regione adiacente alla terra dei Kuru), padre di Dhṛishṭadyumna (il 'figlio ingegnoso' indicato nel testo). Era anche il padre di Draupadī (la moglie di un Pāṇḍava). Suo figlio divenne comandante in capo dell'esercito Pāṇḍava. (BG 2)

Duriyodhana Il figlio maggiore di Dhṛitarashṭra e Gāndhārī, capo dei Kuru (o Kaurava) nel conflitto con i Pāṇḍava a Kukushetra. A causa della sua cecità, Dhṛitarashṭra aveva intenzione di fare del suo virtuoso fratello Yudhishṭhira l'erede designato al suo trono, ma i Kuru subordinati a Duryodhana obiettarono così fermamente, che egli consentì invece a suo figlio di assumersi l'onere del governo, e affidò una parte del suo regno — l'Indraprastha — ai Pāṇḍava. A causa di ulteriori macchinazioni dei Kuru, Yudhishṭhira perse il suo regno in una partita a dadi, e Duryodhana condannò i Pāṇḍava all'esilio per tredici anni. Trascorso questo periodo, comunque, Duryodhana si rifiutò di restituire il regno, e di conseguenza fu intrapreso il grande conflitto in cui egli perse la vita. Nel Mahābhārata, Duryodhana rappresenta le forze del male che combattono contro le forze del bene: una storia lo rappresenta che compie cattive azioni suo malgrado e, prendendo coscienza della cosa, tentò di mettere fine alla sua vita. I folletti delle tenebre gli impedirono di farlo, cosicché potrebbe continuare a incorporarsi per i loro scopi. Duryodhana è rappresentato come un principe ambizioso, maligno, l'opposto del governante saggio e giusto. (significa: difficile da conquistare. BG 1)

Dvaṃdva Una coppia di opposti (ad es., caldo e freddo, gioia e dolore, ecc.) Il composto Dvaṃdva nel testo si riferisce a un composto copulativo, cioè a due elementi di un composto che sono nello stesso caso e possono anche essere connessi ala congiunzione 'a' (significa: due e due: la parola è il numero adj, dva, due, raddoppiato. BG 75)

Dvīpa Una zona, regione, terra, o continente, comunemente chiamata 'isola,' in quanto ogni dvīpa è descritta circondata da oceani concentrici che convergono intorno al Monte Meru. Sette dvīpa sono enumerate come segue: Jambu, Plaksha, Śālmalī, Kuśa Krauñcha, Śāka, and Pushkara. Esotericamente, dvīpa si riferisce, da un lato, ai sette globi della Catena Planetaria di questa Terra e, dall'altro, ai sette grandi continenti che in seguito vennero in esistenza come le dimore delle Sette Razze Radici. Jambu-dvīpa corrisponde al Globo D della Catena, perché il Monte Meru nasce dal suo centro. (DS II, 320) Questa dvīpa era divisa in nove parti denominate varsha. (BG ii)

G

Gandharva I musici e cantori degli dèi, che dimorano nel cielo e preparano per gli dèì il succo del soma celestiale, essendo particolarmente esperti in medicina. Nei Veda sono descritti che rivelano i segreti del cielo e delle verità divine agli uomini. L'Athar-va-Veda menziona che ci sono 6.333 Gandharva. "Cosmicamente — i Gandharva sono i poteri aggregati del fuoco solare, e costituiscono le sue Forze; psichicamente — l'intelligenza che risiede nel Sushumna, il raggio solare, il più elevato dei sette raggi; misticamente, la forza occulta nel Soma (la luna, o la sua pianta lunare) e la bevanda che ne viene ricavata; fisicamente — il fenomenico, e spiritualmente — le cause noumeniche del Suono e la 'Voce della Natura.' Per questo sono chiamati i 6.333 'Cantori celesti' e i musici del loka di Indra, che personificano (anche numericamente) i vari e multiformi suoni della Natura, sia sopra che sotto." (DS I, 523) (BG 74)

Gāṇḍiva (o Gāṇḍīva) un eccezionale arco che Arjuna ricevette da Agni, il dio del fuoco, perché potesse assistere la divinità in una battaglia contro il dio del cielo, Indra. A quel tempo, Arjuna aiutò Agni anche nel rogo della foresta Khāṇḍava — un episodio del Mahābhārata. L'arco in origine fu dato da Soma al dio Varuṇa, che a sua volta lo passò ad Agni. Si dice anche che era appartenuto a Prajāpati, Brahmā, e Śiva. (BG 6)

Gange (Gaṅgā) Il fiume sacro dell'India: nei Purāṇa è detto che ha origine nei cieli dal dito del piede di Vishṇu, e portato sulla terra mediante le preghiere del saggio Bhagīratha al fine di purificare le ceneri dei sessantamila figli di re Sagara. (Questi figli erano stati distrutti dallo sguardo incollerito del saggio Kapila). Gaṅgā intendeva inondare la terra (perché era obbligata a discendere dalla sua dimora celeste), ma la forza della caduta fu intercettata dal dio Śiva, che catturò il fiume nei suoi riccioli arruffati, e gli permise di scendere dalla sua fronte in sette ameni ruscelli sulla terra. Il fiume Gaṅgā è personificato come una dea, la figlia di Menā e Himavat (la personificazione delle montagne dell'Himālaya). La dea diventò moglie di re Śāntanu e partorì Bhīsma. (BG 75)

Garuḍa Il trasportatore di Vishṇu (per cui è spesso chiamato Vishṇu-ratha): è rappresentato con il corpo e gli arti di un uomo, ma la testa, le ali, gli artigli e il becco, sono di un'aquila; la faccia è bianca, le ali rosse, il corpo dorato. Garuḍa è considerato il re degli uccelli e il grande nemico dei serpenti: i suoi genitori erano Kaśyapa, il saggio Vedico, e Vinatā, una delle figlie di Daksha (uno dei Prajāpati). I miti narrano anche che Garuḍa una volta prese l'Amṛita (il nettare) agli dèi, per comprare la libertà di sua moglie da Kadru. Indra persuase Garuḍa e recuperò l' Amṛita — sebbene il dio del cielo avesse la peggio nella battaglia. Garuḍa è "il simbolo esoterico del grande ciclo" (DS II, 323), mentre suo figlio Jatāyu "è, naturalmente, il ciclo di 60.000 anni nel grande ciclo di garuda; ecco perché è rappresentato come suo figlio o suo nipote. (DS II, 570) (BG 75)

Gāyatrī Un antico metro di 24 sillabe (variamente combinate ma generalmente come una terzina di 8 sillabe ciascuna). La parola è anche applicata specificamente a un verso nel Rig-Veda, iii, 62, 10: tat savitur vareṇyam bhargo devasya dhīmahi, dhiyo yo naḥ prachodayāt.Traduzione letterale:"Meditiamo su quell'eccellente splendore del Sole divino; possa illuminare i nostri cuori (menti)." (BG 76)

Govinda Un nome applicato a Kṛishṇa . Si riferisce al tempo della sua gioventù, perché egli fu allevato tra i vaccari. (significa: capo dei vaccari, go, una vacca. BG 11).

Guḍākeśa Uno dei nomi dati ad Arjuna. (significa dai capelli folti).

Guru Un Insegnante, un Precettore, in particolare uno che impartisce insegnamenti spirituali a un discepolo. (BG 86)

H

Hanumān (o Hanumat) La celebre divinità-scimmia del Rāmāyaṇa, figlio di Pavana, il dio del vento, e di Añjanā. Le sue imprese sono più superumane che umane, per cui sono i soggetti preferiti tra gli hindu dalla gioventù alla vecchiaia. Come esempi: l'epica racconta che egli saltò dall'India a Ceylon in un solo balzo; strappò un albero fin dalle radici; volò sull'Himālaya e ritornò portando erbe officinali per i feriti. È raccontato che lui e il suo esercito di scimmie furono creati dagli dèi per assistere Rāma nella sua battaglia contro Rāvana e i Rākshasa di Lañkā (Ceylon). Tra le sue capacità mentali si ritiene che Hanumān fosse un abile grammatico, e nessuno poteva eguagliarlo nelle śāstra (scritture) e nell'arte di spiegarle. Arjuna aveva adottato la raffigurazione tradizionale di Hanumān come suo cimiero. (BG 4)

Hari In particolare, è il nome di Kṛishṇa come un Avatāra di Vishṇu, applicato anche allo stesso Vishṇu e a Śiva. (BG 79)

Hastināpura La città fondata dal re Hastin (il bisnonno di Kuru), che divenne la capitale dei re della Chandravaṇśa (la 'Dinastia Lunare') e la principale città dei Kuru. Gran parte dello svolgimento principale del Mahābhārata si concentra su questa città. Formava l'obiettivo più importante dei Pāṇḍava nel grande conflitto a Kurukshetra (tra i Kuru e i Pāṇḍava), alla fine del quale il vittorioso Yudhishṭhira fu incoronato re dopo una trionfale entrata in città. Hastināpura era situata a oltre 57 miglia a nord-est della moderna città di Delhi, sulle sponde di un vecchio canale del fiume Gange. (significa: la città dell'elefante — hastin, un elefante). (BG i)

Himālaya L'alta catena montuosa nell'Asia Centrale. Conosciuta anche come Himāchala e Himādri, e personificata come Himavat, mitologicamente ritenuto il marito di Menā e il padre di Gangā (il fiume Gange. BG 74)

Hṛishīkeśa Un nome applicato a Kṛishṇa e a Vishṇu. (significa: signore dei sensi. BG 84)

I

Ikshvāku Il figlio di Vaivasvata-Manu, del quale si racconta mitologicamente che nacque dalla narice di suo padre quando a quest'ultimo capitò di starnutire! Ikshvāku fondò la Sūyavanśa (la 'dinastia solare'), regnando ad Ayodhyā all'inizio del Tetrā-Yuga — il secondo Yuga. (BG 30)

Indra Il dio del cielo e dell'atmosfera: nei Veda è il signore delle divinità della regione intermedia (il cielo), signore della pioggia e del tuono, e capo degli dèi delle tempeste (i Marut). È rappresentato alla guida di un carro d'oro trainato da due cavalli fulvi, guerreggiando contro i demoni delle tenebre (specialmente contro Vṛitra, il demone della siccità, che egli uccide; perciò è chiamato Vṛitrajit, e li abbatte con il suo fulmine (varya), il suo arco e le frecce. In origine, Indra non era il capo degli dèi, ma poiché le osservanze religiose costituite avevano la necessità di invocare la divinità dell'atmosfera, egli sostituì il più spirituale Varuṇa, per cui numerosi inni Vedici sono indirizzati a Indra più che a qualsiasi altra divinità, a parte Agni. Nella mitologia posteriore, comunque, la Trimūrti (Brahmā, Vishṇu, Śiva) diventò più importante, e Indra fu quindi relegato a una posizione sottomessa. In Manu, egli è il reggente di Svarga (il cielo) con il compito di sorvegliare particolarmente la zona orientale, ed è ritenuto uno dei dodici Aditya. È quindi rappresentato in sella a un cavallo bianco (Uchchaiḥśravas) oppure ad un elefante (Airāvata). "Fohat è l'aspetto scientifico sia di Vishṇu che di Indra; quest'ultimo, nel Ṛig-Veda, è di gran lunga più importante del suo successore settario. (DS I, 673) (BG 67)

Īśvara 'Signore' (usato nello stesso senso del termine 'Padre nel cielo' nel Nuovo Testamento cristiano), quindi il Sé Supremo o il Gerarca di un sistema, applicabile al grande o al piccolo — all'universo o all'uomo. Nell'uomo è lo Spirito Divino, o la Monade Divina e Spirituale. Īśvara è anche usato quale appellativo per molti dèi, come Vishṇu e Śiva.

"Il Logos, o la parola sia non manifestata che manifestata, dagli hindu è chiamato Īśvara, 'il Signore' . . . Īśvara, dicono i Vedantini, è la coscienza suprema nella natura. 'Questa coscienza suprema,' risponde l'occultista, 'è solo un'unità sintetica nel mondo del Logos manifestato . . . perché è la somma totale delle coscienze dei Dhyan Chohan." (DS I, 573) (*īś governare, essere maestro. BG 130)

J

Janaka Un re della Dinastia Mithilā che regnò a Videha, famoso per le sue opere buone, conoscenza, e santità: attraverso la sua vita virtuosa divenne un Brāhmaṇa e uno dei Rājarshi. Era il padre di Sītā, che nacque dalla terra, dal solco che egli aveva tracciato con il suo aratro. (BG 25)

Janārdana Nei Pūraṇa, è l'Unica Vita Cosmica Intelligente, che si manifesta sotto il triplice aspetto di Modellatore, Conservatore, e Rigeneratore (cioè la Trimūrti Hindu — Brahmā, Vishṇu, e Śiva). È applicato a Kṛishṇa nella sua manifestazione avatārica di Vishṇu. (*jan, nascere, emergere:*ard, muoversi: 'il mai nato.' BG 72)

Jayadratha Un principe della Chandravanśa (Dinastia Lunare), figlio di Bṛihanmanas e re dei Sindhu e dei Sauvīra (tribù che vivevano lungo il fiume Indo): Jayadratha sposò Duḥśalā, la figlia di Dhṛitarāshṭra, per cui diventò il re dei Kuru nella guerra con i Pāṇḍava, durante la quale egli fu ucciso da Arjuna. (significa: 'che ha carri vittoriosi.' BG 83) Jumnā, il moderno Jamna: un fiume nelle Province nord-ocidentali dell'India, che ad Allahābād si congiunge con il Gange. La striscia di terra che si trova tra esso e il fiume Sarasvatī era la regione dei Kuru nel Mahābhārata. I Yādava governavano il paese occidentale dello Jumnā. Vayāsa nacque su un'isola situata in questo fiume. (BG iii)

K

Kalpa Un periodo di tempo, un ciclo: un termine generalizzante e usato, quindi, per periodi di tempo di diversa lunghezza; i cronologisti, comunque, calcolano un Kalpa dalla vita di Brahmā — i kalpa minori sono numerosi. Un Mahākalpa è spesso calcolato come un Manvantara.(* klṛip, essere in ordine. BG 65)

Kāmaveda Il dio dell'amore (lett. il dio Kāma). Nei Veda è il primogenito: "Non lo hanno eguagliato né i deva, né i pitrī, né gli uomini. Tu sei superiore a loro e per sempre grande," inneggia l' Atharva-Veda; mentre il Ṛig-Veda canta: "Per primo in Esso nacque il desiderio, che era il germe primordiale della mente, e che i saggi, cercando con il loro intelletto, hanno scoperto nel loro cuore come il legame che unisce l'entità alla non-entità" (x, 129). Kāmadeva è il signore delle Apsarasa (le ninfe celesti, consorti dei Gandharva, ed è rappresentato come un giovane di bell'aspetto che viaggia su un pappagallo, atteso dalle Apsarasa, una delle quali porta la sua insegna contraddistinta dal Makara [un animale marino]. Il suo arco è fatto di canna da zucchero, e la corda dell'arco da una linea di api, mentre ciascuna delle sue frecce è segnata da un fiore diverso. Nel Taittirīya-Brāhmaṇa, Kāmadeva è il figlio di Dharma (dovere religioso morale, pietà, giustizia) e di Śraddhā, fede); in un altro inno egli nasce dal cuore di Brahmā, e quindi è chiamato l'Auto-Esistente (Ātma-bhū) o il Non-nato (Aja).
    Kāmadeva, nel Ṛig-Veda, è "la personificazione di quel sentimento che porta alla creazione e la sollecita. Egli era il primo movimento che stimolò l'uno a creare, dopo la sua manifestazione dal principio puramente astratto. (DS II, 176)

"Come Eros nella prima mitologia greca era connesso alla creazione del mondo, e solo dopo divenne il Cupido sessuale, così era Kāma nel suo carattere originale Vedico." (ibid.) (BG 74 — menzionato come 'il dio dell'amore.')

Kāmaduh (o Kāmadhuk) La mistica vacca che apparteneva al saggio Vasishṭha, creata dagli dèi quando avvenne il rimescolamento dell'oceano cosmico. Si suppone che esaudisca tutti i desideri e quindi è chiamata la 'vacca dell'abbondanza.' La forma alternativa, Kāmadhenu, fornisce la chiave di questo significato: kāma, desiderio, voglia; dhenu, vacca da latte. L'interpretazione di quest'allegoria si riferisce all'apparizione della Terra nello spazio come madre di tutto quello che in seguito apparirà su di essa. (BG 23)

Kansa (o Kaṃsa) Un re della linea Yādavha della Dinastia Lunare, governatore dei Bhoja, che regnava a Mathurā, e che depose dal trono suo padre Ugrasena. Ugrasena era il fratello di Devaka, il padre di Devakī, madre di Kṛishṇa.
    Kansa è solitamente chiamato lo zio di Kṛishṇa; in senso stretto, comunque, egli è un cugino. Nonostante questo rapporto di parentela, divenne il nemico dichiarato di Kṛishṇa perché una profezia gli aveva previsto che un figlio di Devakī avrebbe causato la sua morte. Per prevenire che ciò accadesse, Kansa imprigionò Devakī e Vasudeva nel suo palazzo e ordinò che tutti i bambini nati da loro fossero messi a morte. Così, sei bambini furono trucidati, ma un settimo, Balarāma, fu salvato con la complicità dei suoi genitori. Allora, quando nacque Kṛishṇa, i suoi genitori fuggirono dal palazzo e si allontanarono dalla città di Mathurā, dopo di che, Kansa, furibondo, ordinò di uccidere tutti i bambini del regno; ma i genitori fuggirono dal regno con Kṛishṇa, e il bambino fu allevato in isolamento dai vaccari. Kansa apprese che Kṛishṇa era scampato alla morte e fece parecchi tentativi per ucciderlo; ad esempio, mandò Jarāsanda, re di Magadha, a combattere contro il giovane Kṛishṇa diciotto volte, ma il re fu sconfitto più volte. Kṛishṇa alla fine uccise Kansa, com' era profetizzato, rimise Ugrasena sul trono ma lasciò Mathurā e stabilì il regno a Dvārakā. (BG 121)

Kapila Uno dei famosi Ṛishi. Vi sono molti saggi con il nome di Kapila, che fu il fondatore della filosofia Sānkhya. Una leggenda racconta che Kapila, mentre meditava a Pātāla, fu minacciato dai sessantamila figli di Sagara, ma la fiamma sacra che guizzava dalla sua persona immediatamente ridusse in cenere i sessantamila. "Che la storia sia un'allegoria lo vediamo proprio dal suo aspetto: i 60.000 figli, brutali, viziosi ed empi, sono la personificazione delle passioni umane che un 'semplice sguardo del saggio' — il che rappresenta lo stato supremo di purezza che si possa raggiungere sulla terra — riduce in cenere." (DS II, 571) "Vi sono parecchi Kapila famosi nei Purāṇa. Primo, il saggio primordiale, poi Kapila, uno dei tre Kumāra 'Segreti'; e Kapila figlio di Kasyapa e Kadrū . . . oltre a Kapila, il grande saggio e filosofo del Kali-Yuga." (DS II, 572) (BG 74)

Karma In breve, l'insegnamento del Karma nella Bhagavad-Gītā (e anche in tutto il Mahābhārata) è che le azioni dell'uomo mettono in moto cause che al momento giusto reagiscono su chi le ha prodotte, per cui, finché "non spezza le catene del Karma e si solleva al di sopra di esse," egli ne resta incatenato, e deve ritornare ripetutamente sulla scena delle sue azioni, cioè rinascere sulla Terra ripetutamente fino a liberarsi dalle catene del karma. I mezzi per liberarsi sono insegnati principalmente nei capitoli iii, v, xiv, e xviii. (*kṛi, fare, agire; nel dizionario è: karman, al nominativo: karma. BG 15)

Karṇa Il figlio di Pṛithā (o Kuntī) avuto da Sūrya, il dio del sole, per intercessione di un mantra che le diede il saggio Durvāsas. Questo successe prima del suo matrimonio con Pāṇḍu, quindi Karṇa era il fratellastro dei Pāṇḍava, anche se il fatto rimase a loro sconosciuto fino alla morte di Karṇa, che avvenne per mano di Arjuna durante la battaglia a Kurukshetra. Karṇa era stato abbandonato dalla madre quand'era ancora un bambino; fu trovato da un sāta (auriga) di nome Adhiratha (o Nandana) e allevato come fosse suo figlio. Pur consapevole del suo rapporto con i Pāṇḍava, Karṇa si alleò con i Kaurava, perché Duryodhana gli aveva dato il regno di Añga. Durante il grande conflitto Karṇa stava per uccidere Arjuna, del quale era particolarmente invidioso, ma fu fermato da Kṛishṇa . (BG 2)

Kāśi (o Kāśī) Un paese situato nei pressi dell'odierna Benares, il cui re, Kāśya, era alleato con i Pāṇḍava. (BG 2)

Kaurava (vedi i Kuru)

Keśava Un nome applicato a Kṛishṇa come a Vishṇu. (significa: 'che ha una folta e bella capigliatura. BG 18)

Keśin Un daitya (o 'demone') ucciso da Kṛishṇa quando il principe fu attaccato da Keśin sotto forma di un cavallo. Si crede che il daitya sia stato inviato da Kansa per provocare la morte di Kṛishṇa (BG 121)

Kṛipa Il figlio del saggio Śaradvat. Con sua sorella Kṛipā fu adottato da re Śāntanu (il padre di Bhīsma). Kṛipā era uno dei consiglieri privati ad Hastināpura, ed era uno dei soli tre guerrieri sopravvissuti al conflitto a fianco dei Kaurava (per cui, è indicato nel testo come 'il conquistatore in battaglia.' (BG 3)

Kisha Il figlio di Devakī e Vasudeva (della stirpe Yādava della Chandravanśa — la Dinastia Lunare. Per i particolari di questa nascita vedi Kansa.) Kṛishṇa è rappresentato come l'ottavo Avatāra di Vishṇu: sotto quest'aspetto egli è l'insegnante spirituale, l'incarnazione della saggezza; ma come per altri Salvatori, storie e allegorie sono state abbondantemente intessute intorno a lui. Nel Mahābhārata la sua storia è brevemente abbozzata, tuttavia le sue imprese sono numerate: egli appare attraverso tutta l'opera come il consigliere dei Pāṇḍava. La vita di Kṛishṇa è raccontata esaurientemente nell' Harivanśa, un'opera considerate come un'aggiunta al poema epico); anche nel Vishṇu-Purāṇa e nel Bhāgavata-Purāṇa è narrata dettagliatamente, e resa popolare nel Prem Sāgar (scritto in Hindi). Le varie storie e allegorie intessute intorno a Kṛishṇa sono ancora il tema più importante tra le popolazioni dell'India odierna, che lo venerano come un dio. Nondimeno, i suoi insegnamenti, come tratteggiati nella Bhagavad-Gītā, oggi sono applicabili sia in Occidente che in Oriente — sebbene espressi nella metafora e nel retroterra di un popolo vissuto migliaia di anni fa. La data della morte di Kṛishṇa è fissata a 3102 anni a. C., e quest'evento segnò l'inizio del Kali-Yuga, l'attuale 'Età del Ferro.'
    La stessa Bhagavad-Gītā descrive il carattere avatārico di Kṛishṇa: rappresenta l'insegnante e il Logos, mentre Arjuna tipicizza l'uomo.
    H. P. Blavatsky fa quest'interessante commento sulle incarnazioni successive degli Avatāra di Vishṇu (cioè, il Narasinha Avatāra, Rāma, e Kṛishṇa ) e le successive reincarnazioni dei Daitya. Hiranyakaśipu, l'ingiusto ma valente monarca dei Daitya, a causa della sua malvagità fu ucciso dall'Avatāra Nara-sinha (l'uomo-leone): "Poi rinacque come Ravana, il re gigante del Lanka, e fu ucciso da Rāma; dopo di che rinasce come Sisupala, il figlio di Raja-rishi (Re Rishi) Damaghosha, ed è di nuovo ucciso da Kṛishṇa, l'ultima incarnazione di Vishṇu. Quest'evoluzione parallela di Vishṇu (spirito) con un Daitya, come uomini, potrebbe sembrare priva di significato, tuttavia ci dà la chiave non solo per le rispettive date di Rāma e Kṛishṇa, ma anche per un certo mistero psicologico." (DS II, 225) (significa: di colore scuro, nero, o blu-nero. Kṛishṇa è rappresentato con la pelle molto scura. BG 3)

Kisha Dvaipāyana (vedi Vyasa) (BG iii)

Kisha-Yajur-Veda lett. "lo Yajur Veda Nero' — un nome alternativo per il Taittirīya Saṃhitā, una delle due divisioni di questo Veda, mentre l'altra parte è conosciuta come il Yajur Veda Bianco. È chiamato 'nero' (Kṛishṇa ) perché le parti Saṃhitā and Brāhmaṇa di questo Veda sono confuse e mescolate, mentre la parte chiamata 'bianca' è libera da questa confusione ed è arrangiata in maniera ordinata. Vajur-Veda significa 'Veda sacrificale' — è una raccolta di mantra sacri che sono praticamente identici a qualcuno dei mantra nel Ṛig-Veda; infatti, è semplicemente una raccolta, accorciata e riordinata per i sacerdoti, come una sorta di libro di preghiere sacrificali. I principali sacrifici sono quelli da compiere durante la luna nuova e piena, e durante il sacrificio del cavallo (aśvamedha) (BGT 31)

Kshattriya (o Kshatriya) La seconda delle quattro classi sociali nel periodo Vedico, generalmente chiamata la casta dei guerrieri, ma il termine si riferisce anche al mondo della burocrazia, cioè a re, principi, amministratori, ecc. (BG 127-28; BG 14)

Kshetra Una sfera d'azione, un campo, un veicolo. Nella BG si riferisce alla costituzione composita del conoscitore, o all'entità cosciente, cioè il corpo. (BG 93)

Kshetrajña L'ego cosciente: l'elemento conoscente e percepiente nella costituzione umana — Buddhi-Manas (tradotto come 'anima' nella BG: (kshetra, campo, cioé corpo; jña, il conoscitore. BG 93)

Kuntibhoja (o Kunti) Il re dei Kunti (una popolazione dell'antica India): Questo principe Yādava adottò Pṛitha, la figlia di suo cugino Śūra, per cui lei era chiamata Kuntī. (BG 2)

Kuntī Il patronimico di Pṛithā, la sorella del padre di Kṛishṇa, Vasuveda, e figlia di un principe Yādava di nome Śūra, che l'affidò a suo cugino Kunti (o Kuntibhoja) che non aveva figli, e dal quale fu adottata — per questo fu chiamata Kuntī. Come fanciulla, era molto rispettosa e devota al saggio Durvāsas, che le insegnò un mantra con il quale poteva avere un bambino da qualsiasi dio lei scegliesse d'invocare. Per provarne l'efficacia, invocò il dio del sole, Sūrya, e nacque Karṇa: ma Kuntī abbandonò il bambino. Scelse Pāṇḍu come marito (nello svayamvara). Con l'aiuto del suo mantra invocò il dio della giustizia, Dharma (dal quale nacque Yudhishṭhira; invocando Vāyu, il dio del vento, nacque Bhīma; e dalla supplica a Indra, il dio del cielo, Kuntī partorì Arjuna. Nel Mahābhārata, Kuntī è rappresentata come un modello di affetto materno e devozione, accudendo sempre i Pāṇḍava, con cui passò tredici anni in esilio. Dopo la grande guerra si ritirò con Gāndhārī e Dhṛitarāshṭra nella foresta, dove morì in un incendio. "Come Aditi è chiamata Surārani (la matrice o la 'madre' degli dèi sura), così Kuntī, la madre dei Pāṇḍava, nel Mahābhārata è chiamata Pandavārani — termine che è già fisiologico." (DS II, 527) (BG 4)

Kuru Un re della stirpe della Chandravanśa (la Dinastia Lunare) che regnava ad Hastināpura. Era il figlio di Samvaraṇa e Tapatī, e l'antenato di Dhṛitarāshṭra e Pāṇḍu, i discendenti della quattordicesima generazione . Di conseguenza, Arjuna è indicato come 'il figlio di Kuru.' (BG 51) o 'il migliore dei Kuru' (BG 35)

Kuru — ( i ) i Kuru o i Kaurava — Un antico popolo che abitava il nord-ovest dell'India, vicino alla moderna Delhi. Nel Mahābhārata sono divisi in Kuru del nord e Kuru del sud; quelli del nord occupano una delle quattro Mahādvīpa (le principali divisioni del mondo conosciuto, un paese oltre la catena montuosa più settentrionale dell'Himālaya, spesso descritto come un paese di eterna felicità, e ritenuto l'antica dimora della Razza Ariana. I Kuru del sud erano quelli che nella Bhagavad-Gītā sono citati come i regnanti di Hastināpura. Nel testo (della BG) il riferimento ai Kuru è applicabile ai figli di Dhṛitarāshṭra, sebbene i figli di Pāṇḍu siano ugualmente dei 'Kuru.' E così Arjuna è citato come 'il migliore dei Kuru,' perché egli era un discendente di Kuru della quindicesima generazione. (BG 4)

Kurukshetra 'Il campo dei Kuru': una pianura situata nelle vicinanze della moderna Delhi, su cui si svolse il grande conflitto che forma il tema principale del Mahābhārata. (un composto: Kuru, e Kshetra, campo. BG 1)

Kuśa L'erba sacra (Poa cynosuroides) usata in India in alcune cerimonie religiose. H. P. Blavatsky evidenzia che è un'erba con certe proprietà occulte. (GT) (BG 76)

Kusumãkara La stagione della Primavera. (un composto: kusuma, fiore, fioritura; ākara, che fa una quantità. BG 76)

astha Un termine filosofico che significa 'tenere la posizione più alta,' quindi la divinità primordiale. Come sostantivo è spesso usato quale sinonimo di Īśvara, la Monade Divina e Spirituale. Kūṭastha è spesso adottato come un derivato per Ākāśa e Mūlaprakṛiti. (un composto: kūṭa, il vertice, e sthā, posizione. BG 108)

M

Madhu Il nome di un asura che fu ucciso da Vishṇu. Madhu e il suo compagno Kaiṭabha nacquero dall'orecchio di Vishṇu mentre la divinità stava riposando alla fine di un kalpa. Questi due asura approfittarono del sonno del dio per avvicinarsi a Brahmā, che stava anche lui riposando, e stavano per ucciderlo, ma Vishṇu si svegliò e sventò il loro piano uccidendo immediatamente gli asura.               Per questo atto Vishṇu è conosciuto con i nomi di Madhusūdhana (uccisore di Madhu) e Kaiṭabhajit (colui che provocò la morte di Kaiṭabha.
    W. Q. Judge suggerisce che Madhu rappresenta la qualità della passione nella natura (BG 49); anche Kṛishṇa fu chiamato Madhusūdhana. (BG 9)

Madhusūdana Un nome che si applica a Kṛishṇa e a Vishṇu (Kṛishṇa nel suo aspetto di Vishṇu). (un composto: Madhu; sūdana, uccisore. BG 9) È anche il nome di molti autori sanscriti. (BG 51)

Mādrī Una sorella del re di Madras, che divenne la seconda moglie di Pāṇḍu. Con il mantra che le aveva dato Kuntī, partorì Nakula e Sahadeva, i cui padri erano i gemelli Aśvin (gli dèi del cielo). Alla morte di Pāṇḍu, Mādrī salì sulla pira funebre accanto al cadavere di suo marito. (BG iv)

Mahābhārata lett. 'La grande (guerra) dei Bhārata.' La grandiosa epopea dell' Hindūsthān, che consiste di circa 215.000 righi di prosa in metrica, divisi in 18 parva (libri o sezioni). Il tema principale dell'opera è il resoconto della storia degli ultimi discendenti della Chandravanśa (Dinastia Lunare), e tratta specialmente le gesta dei Kuru e dei Pāṇḍava, culminando nel grande conflitto che forma la parte maggiore del poema epico. Non solo segue le imprese dei suoi personaggi principali, perché le ramificazioni del racconto considerano innumerevoli storie e allegorie con un'abbondanza di descrizioni e fantasia che non ha paragoni nel mondo della narrativa, ma tratta ogni fase delle emozioni umane, cosicché questo poema è stato la fonte di soggetti e storie di genere drammatico per le generazioni successive. Ne emerge l'aspetto religioso e mitologico dei popoli dei tempi antichi per quel che riguarda sia le allegorie delle divinità, sia le osservanze cerimoniali dei sacerdoti; i discorsi filosofici abbondano (la Bhagavad-Gītā è solo un singolo esempio); gli insegnamenti riguardo Karma e Reincarnazione sono esposti e illustrati sotto forma di storia (vedi Draupadī e Śikhaṇḍin); le lezioni etiche e morali sono ripetutamente inculcate, mentre le tradizioni e le leggende dei Bhārata sono valide per tutti i tempi, rappresentando tutte le gesta di una razza bellicosa. Il racconto di Rāma (che forma la base del secondo grande poema, il Rāmāyaṇa) è narrato integralmente, così come la storia di Śakuntalā (in seguito resa in forma drammatica da Kālidāsa). Indubbiamente il Mahābhārata è un'opera intesa per il popolino, quindi è scritta in modo da attirare il popolo di quell'epoca, e tratta principalmente le battaglie. La sua compilazione è attribuita a Vyāsa: "Gli orientalisti non sono d'accordo sulla sua datazione. Ma è innegabilmente molto antica." (GT) Fin dalla prima comparsa della Razza Ariana . . . fino alla sparizione definitiva della piccola isola di Platone, Atlantide, le razze Ariane non hanno mai cessato di combattere contro i discendenti delle prime razze di giganti. Questa guerra durò quasi fino alla chiusura dell'epoca che precedette il Kali-Yuga, e fu la guerra del Mahābhārata così famosa nella Storia Indiana." (DS II, 395) (BG i)

Maharshi lett. "Grande Saggio" (grande Rishi): si riferisce principalmente ai dieci Maharshi che erano i 'figli nati dalla mente' di Prajāpati (o Manu Svāyambhuva) elencati in Manu (i, 34) come: Marīchi, Atri, Angiras, Pulastya, Pulaha, Kratu, Prachetas, Vasishtha, Bhrigu, Nārada. Sono chiamati anche i dieci Prajāpati. A volte sono indicati soltanto in sette — come nel cap. x, śloka 6, interpretati come i "sette grandi Saggi." BG 71) (vedi Ṛishi)

"Ogni nazione ha sia i sette, sia i dieci Rishi-Manu ei Prajāpati . . . Uno e tutti sono derivati dai primitivi Dhyan Chohan della dottrina esoterica, o i 'Costruttori' delle Stanze (Libro I). Da Manu, Thoth-Hermes, Oannes-Dagon e Edris-Enoch, fino a Platone e a Panodoro, tutti ci parlano delle Dinastie divine, di sette divisioni Lemuriane e Atlantidee della Terra; dei sette primordiali dèi duali che discendono dalla loro dimora celeste e regnano sulla Terra, insegnando all'umanità Astronomia, Architettura, e tutte le altre scienze che ci sono pervenute. Questi Esseri appaiono prima come 'dèi' e Creatori; poi si fondono nell'uomo nascente, per emergere alla fine come 'Re e Governatori divini.'" (DS II, 365-6) (mahā, grande; ṛishi, un Saggio o Veggente. (GB 81)

Mahātman lett. 'Grande Anima' o 'Grande Sé' — composto da mahā, grande, e ātman, il Sé. Nell'India di oggi il termine (anglicizzato come Mahatma) si applica come qualifica per un uomo che ha raggiunto un conseguimento eccezionale, anche se nei tempi antichi si riferiva a un uomo di straordinari risultati spirituali, com'è menzionato nella Bhagavad-Gītā. Nella letteratura teosofica il termine è impiegato tecnicamente per quegli esseri evolutivamente molto più avanzati degli uomini comuni, e sono chiamati anche Maestri di Saggezza, o Saggi e Veggenti. (BG 55)

Maheśvara lett. 'Grande Signore,' un termine che concerne lo 'spirito.' Una qualifica applicata anche a Śiva (il terzo membro della Trimūrti Hindū): (mahā, grande, e īśvara, signore, maestro. BG 96)

Mahusudana (dovrebbe essere Madhusudana, il nome di molti scrittori sanscriti. BG 51)

Makara Un animale marino: il veicolo di Varuṇa (dio dell'oceano). È variamente descritto come un pesce, uno squalo, un delfino, o un coccodrillo; comunque, nelle leggende è raffigurato con la testa e le zampe anteriori di un'antilope, e il corpo e la coda di un pesce — molto simile al Capricorno, e anch'esso assegnato al decimo segno dello Zodiaco. Makara è "ora il più sacro e misterioso dei segni dello Zodiaco." (DS II, 268) (BG 75)

Manas La sede della mente e della coscienza dell'egoità: l'uomo reale. Nella classificazione teosofica dei principi dell'uomo, il quinto (a partire verso l'alto): considerato come il figlio di mahat, è quindi chiamato Mānasaputra. "Manas è un 'principio,' e tuttavia è un'Entità, un'individualità o Ego. Egli è un 'Dio,' eppure è condannato a un ciclo infinito di incarnazioni . . .

"Nella sua vera essenza è pensiero, e quindi nella sua pluralità è chiamato Mānasaputra, i Figli della mente (universale)." (La Chiave della Teosofia, 183-4)
"Manas, o il Pensatore, è l'essere che si reincarna, l'immortale che porta in sé i risultati e i valori di tutte le diverse vite vissute sulla terra o altrove. La sua natura diventa duale appena è vincolata a un corpo." La facoltà di ragionare "è l'aspetto inferiore del Pensatore o Manas. L'altro suo aspetto, che in teosofia è considerato superiore, è quello intuitivo, che conosce, e non dipende dalla ragione." (L'Oceano della Teosofia, 54) (BG 53)

Maṇipushpaka Il nome della conchiglia di Sahadeva. (significa: il gioiello fiorito. BG 4)

Manu Nelle Leggi di Manu è stabilito che Manu fu creato da Virāj: allora creò i dieci Prajāpati, che a loro volta produssero sette altri Manu; ciascuno di questi Manu produsse a sua volta sette Manu. Quattordici Manu, come sempre, sono assegnati ai sette globi di una catena planetaria, due per ciascuno: uno appare all'inizio di una Ronda (chiamata la Ronda di Manu) e uno alla conclusione (il seme di Manu), e l'intervallo tra i due Manu è chiamato un Manvantara. Il Manu in carica nella nostra presente Quarta Ronda è chiamato Vaivasvata Manu. I quattro Manu (menzionati a p. 71 della BG) si riferiscono al Manu delle quattro Ronde, essendo ora la Quarta Ronda in avanzamento. (vedi Maharshi e Ṛishi.)
    A livello esoterico, Manu rappresenta collettivamente le entità spirituali che appaiono per prime all'inizio della manifestazione: è 'L'Albero della Vita' spirituale di qualsiasi catena planetaria dell'essere manifestato. "Manu dichiara di essere stato creato da Virāj, o Vaiswanara (lo Spirito dell'Umanità), e significa che la sua Monade è emanata dal Principio mai assopito all'inizio di ogni attività cosmica. (DS II, 311

"Nonostante la terribile ed evidentemente voluta confusione dei Manu, dei Ṛishi e della loro progenie nei Purāṇa una cosa è chiara: ci sono stati e ci saranno sette Ṛishi in ogni Razza Radice (chiamata anche Manvantara nei libri sacri) come vi sono quattordici Manu in ogni Ronda, 'gli dèi che presiedono, i Ṛishi e i Figli dei Manu' che sono identici . . . Nel Vishṇu-Purāṇa si parla di 'Sei' Manvantara, e il Settimo, che è il nostro,." (DS II, 614) (BG 30)

Mārgaśīrsha Il nome del mese in cui entra la luna piena Mārgaśīrsha, generalmente attribuito al Capricorno nei segni dello Zodiaco: il decimo o, in tempi posteriori, il primo mese dell'anno. (BG 76)

Marīchi Uno dei dieci Prajāpati (progenitori) o i Figli di Brahmā nati dalla mente, da cui è discesa l'umanità (secondo Manu). Nel Mahābhārata è anche considerato come uno dei sette grandi Ṛishi. Egli è il padre del Ṛishi Kaśyapa, il saggio Vedico, il più prolifico dei creatori, che creò i Nāga. Marīchi è rappresentato anche come il capo dei Marut. In Manu i Pitṛi degli Dèi rinascono come i figli di Marīchi e di sua moglie Sambhūti. Questi Pitṛi sono gli Agnishvātta Pitṛi, mentre quelli che in Manu sono chiamati i 'Pitṛi dei Demoni,' che rinascono come i figli di Atri, sono i Barishad Pitṛi. (DS II, 89) (BG 73)

Marut ( i ) Gli dèi delle tempeste, che assistono Indra: armati di fulmini e tuoni, cavalcano sui mulinelli e dirigono le tempeste. Nei Veda sono preminenti, essendo chiamati i figli di Rudra (il dio delle tempeste), o anche figli e fratelli di Indra (il dio del cielo). Nei Purāṇa si racconta che i Marut nacquero in questo modo: Diti, la moglie di Kaśyapa (uno dei grandi Ṛishi) stava per partorire un figlio, ma l'embrione fu diviso da Indra in sette porzioni, e ognuna di queste porzioni, una volta nata, fu nuovamente divisa in sette parti. Śiva le trasformò in ragazzi, chiamandoli Marut. H. P. Blavatsky interpreta questa leggenda come segue: Diti "è il sesto principio della natura metafisica, il Buddhi di Akāsa. Diti, la madre dei Marut, è una delle sue forme terrene, rappresentando al tempo stesso l'Anima divina nelle aspirazioni ascetiche e divine dell'Umanità mistica . . .Indra rappresenta Mahat, il principio cosmico nell'uomo, Manas è il suo aspetto duale: è connesso con Buddhi, ed è soggetto a essere trascinato giù dal suo principio Kāma (il corpo delle passioni e desideri)." Il bambino allegorizza "la volontà divina e costante dello Yogi — determinato a resistere a tutte le tentazioni, e distruggere così le passioni nella sua personalità terrena. Indra ha ancora successo, perché la carne conquista lo spirito . . . Egli divide "l'Embrione" (del nuovo adepto, generato ancora una volta dagli Asceti della Quinta Razza Ariana) in sette porzioni — un riferimento non solo alle sette sottorazze della nuova Razza Radice, in ciascuna delle quali ci sarà un 'Manu,' ma anche ai sette gradi dell'adepto — e poi ogni porzione in sette pezzi — alludendo ai Manu-Ṛishi di ciascuna Razza Radice e anche di ciascuna sottorazza." (DS II, 614-5) "I Marut rappresentano (a) le passioni che si scatenano e infuriano nel petto di ogni candidato quando si prepara a una vita ascetica — in senso mistico; (b) le potenze occulte nascoste nei molteplici aspetti dei principi inferiori di Akāsa — il suo corpo, o sthula sarira, che rappresenta l'atmosfera terrestre inferiore di ogni globo abitato — in senso mistico e siderale; (c) le effettive Esistenze coscienti, Esseri di natura cosmica e psichica. "Al tempo stesso 'Marut' è, in linguaggio occulto, uno dei nomi dati agli ego dei grandi Adepti che sono passati via e che sono conosciuti come Nirmanakaya." (DS II, 615) (BG 73)

Māyā Come termine filosofico è stata associata all'aspetto illusorio dei pensieri e dei punti di vista umani, perché prende in considerazione la vita e le sue circostanze, cercando d'interpretare e comprendere le cose: quindi, Māyā è interpretata come 'illusione.' Una delle spiegazioni tradizionali di questo termine data nei Vedānta è: un uomo vede un rotolo di corda e, credendo che sia un serpente, istintivamente scappa via. Guardando una seconda volta, comprende che è solo un rotolo di corda: ma era convinto di aver visto un serpente; pensa dunque di essere stato ingannato dalla natura illusoria delle cose — māyā. "Māyā o illusione è un elemento che entra in tutte le cose finite, perché qualsiasi cosa che esiste ha solo una realtà relativa, non assoluta, in quanto l'apparenza che il noumeno celato assume agli occhi di ogni osservatore dipende dal suo potere di cognizione." (DS I, 39)
    Māyā è spesso usata come un equivalente di Avidyā (ignoranza), anche se si dovrebbe applicarla appropriatamente solo a Prakṛiti. (*, misurare, con un significato acquisito di formare, limitare. BG 31)

Meru Mitologicamente, è una montagna situata nel centro della terra, rappresentata come la dimora degli dèi, paragonata al pericarpo di un loto, le cui foglie sono formate da vari continenti-isole (Dvīpa); il fiume Gange si riversa sulla sua cima e da lì scaturisce nel mondo in quattro corsi; i reggenti delle quattro zone occupano i versanti corrispondenti della montagna, che è risplendente d'oro e di gemme. "Meru non è 'la favolosa montagna dentro l'ombelico o centro della terra,' ma le sue radici e fondamenta sono in quell'ombelico, sebbene si trovi nel lontano ovest. Questo lo connette alla terra 'centrale' che 'non perisce mai'"; (DS II, 403)

"È il polo nord, il paese di 'Meru,' ad essere la settima divisione, perché corrisponde al settimo principio." (DS II, 403) (BG 74)

Muni Un asceta, un monaco, un devoto, un eremita (specialmente chi ha fatto il voto del silenzio. (*man, pensare, per cui uno dei significati del termine è 'un uomo che ha raggiunto l'unione con la sua divinità interiore.' BG 18)

N

Nāga Il termine significa un serpente, soprattutto un cobra; ma nel Mahābhārata si riferisce a una razza di esseri che abitava a Pātāla; Ulūpī, la figlia del re, sposò Arjuna. "Poiché Pātāla significa gli antipodi, ed era il nome dato all'America dagli antichi, che conoscevano e visitarono quel continente prima che l'Europa ne avesse mai sentito parlare, il termine è probabilmente affine ai Nagal messicani, gli stregoni e gli uomini di medicina (di oggi)." (GT)
    Un mito racconta che i Nāga erano la progenie del Ṛishi Kaśyapa (il figlio di Marīchi). Riguardo a questo, H. P. Blavatsky scrisse: "Qual'è la favola, la genealogia e l'origine di Kaśyapa, con le sue dodici mogli, dalle quali ebbe una numerosa e diversificata progenie di nāga (serpenti), rettili, uccelli, e ogni tipo di cose viventi, e chi era quindi il padre di tutti i generi di animali, se non un velato ricordo dell'ordine evolutivo in questa ronda?" (DS II, 253)
    Un altro racconto rappresenta i Nāga come una razza semidivina (la razza di Kadrū) che abitava le acque, o la città di Bhogavatī situata sottoterra; si favoleggiava che possedessero una faccia umana con le estremità inferiori simili al serpente. Ananta è il re dei Nāga. Nella Dottrina Segreta il termine Nāga sta per un Serpente di Saggezza, un iniziato completo — il serpente è sempre stato usato in Occultismo come il simbolo dell'immortalità e della Saggezza. "Nella Dottrina Segreta, i primi Nāga — esseri più saggi dei Serpenti — sono i 'Figli della Volontà e dello Yoga.'" (DS II, 181)

"Alcuni dei discendenti dei Nāga primitivi, i Serpenti di Saggezza, popolarono l'America, quando il suo continente emerse durante i giorni prosperi della grande Atlantide." (DS II, 182) (BG 75)

Nakula Il figlio di Mādrī (la seconda moglie di Pāṇḍu) e degli dèi gemelli del cielo, gli Aśvinau: il quarto dei Pāṇḍava. A Mādrī era stato permesso da Kuntī l'uso del suo mantra per chiamare al suo fianco un dio, ma fu abbastanza ingegnosa da invocare gli dèi gemelli del cielo, quindi diede alla nascita due figli: Nakula e Sahadeva. Nakula eccelleva nell'arte di addestrare e guidare i cavalli, che aveva imparato da Drona. (BG 4)

Nara Un uomo. Nel Mahābhārata e nei Purāṇa, Nara qualche volta è usato come un equivalente del Purusha Cosmico, 'l'Uomo Universale Primordiale,' e associato a Nārāyaṇa (il Logos). Arjuna è identificato con Nara, e Kṛishṇa con Nārāyaṇa — la differenza nella sfera umana suggerisce la differenza nella sfera cosmica. Così, come Subba Row spiega, Arjuna rappresenta Nara o la monade umana, mentre Kṛishṇa rappresenta il Logos. (NBG 9) (BG p.viii)

Nārada Uno dei sette grandi Ṛishi o Prajāpati, conosciuti come i figli di Brahmā nati dalla mente. Questo Ṛishi è accreditato dall'autorità di alcuni inni del Ṛig-Veda. Nei poemi epici egli è rappresentato come l'asceta vergine che non compie le funzioni creative, e tuttavia aiuta l'umanità e appare come l'amico di Kṛishṇa. Nārada è pure il capo dei musici celesti (i Gandharva), l'inventore del vīṇā (liuto); discende anche in Pātāla (le regioni infernali): Nārada è chiamato "nell'Occultismo Cis-Himalayano Pesh-Hun, il 'Messaggero' . . . un tipo di logos attivo e sempre reincarnante, che conduce e guida gli affari umani dall'inizio alla fine del Kalpa." (DS II, 48) (BG 72)

Nāsatya Uno dei gemelli Aśvin, le divinità del cielo. Mādrī lo rese fratello di Nakula — il quarto dei fratelli Pāṇḍava. (significa: disponibile. BG iv)

Nirvāṇa Uno stato super-spirituale: lo stato della beatitudine suprema, l'assorbimento assoluto della coscienza nel puro Essere Cosmico, lo stato di quegli esseri che hanno raggiunto la conoscenza sovrumana e l'illuminazione spirituale, e che sono capaci di vivere nella propria essenza spirituale, rigettando le parti inferiori delle guaine della monade pellegrina — questo è il significato della parola Jīvanmukta (una 'monade liberata'). Per ottenere il Nirvāṇa, un essere si deve identificare con il suo Genitore divino (il 'Padre nel cielo' — la Monade divina) (nir, fuori o lontano; vāna, part. passato di , soffiare, da cui: 'spegnere' — in riferimento ai principi inferiori dell'uomo, che in verità sono scartati dal Jīvanmukta.) (BG 21)

OM (o AUM) La sillaba che in India ha un significato sacro, in particolare nella letteratura Brāhmanica. Significa benedizione e affermazione, apre e chiude le invocazioni o le preghiere (vedi BG 119), ed è pronunciata dagli Yogi durante la meditazione. "È composta di tre lettere: a, u, m, che nella fede popolare sono tipiche dei tre Veda, e anche dei tre dèi — A (Agni) V (Varuna) M (Marut) o Fuoco, Acqua e Aria. Nella filosofia esoterica sono i tre fuochi sacri, o il 'triplice fuoco' nell'universo e nell'Uomo, oltre a molte altre cose." (GT) (BG 1)

Oosana (vedi Uśana)

P

Pāñchajanya Il nome della conchiglia di Kṛishṇa, che egli ottenne in questo modo: Pāñchajanya era un elementale del mare, che usava la forma di una conchiglia (śankha). Aveva catturato il figlio di Sāndīpani (che aveva istruito Kṛishṇa nell'uso delle armi), dopo di che Kṛishṇa attaccò e uccise Pāñchajanya, prendendo il guscio per usarlo come la sua conchiglia. È interessante e significativo che lo stesso termine Pāñchajanya significa 'cinque classi,' riferendosi alle cinque classi inferiori di esseri che, in senso generale, gli antichi hindu consideravano come abitanti dell'universo. Il nome, quindi, lo si potrebbe appropriatamente applicare a un capo di un simile gruppo composito di esseri; e ritenere Pāñchajanya un 'demone,' come spesso fanno gli orientalisti, significa dimenticare che una delle cinque classi Pāñchajanya di esseri animati sono uomini, che difficilmente possono essere chiamati 'demoni,' anche nel senso mitologico degli hindū. (significa: disceso da Pāñchajana. BG 3)

Pāṇḍu Il figlio di Kṛishṇa Dvaipāyana Vyāsa e di Ambālika, fratellastro di Dhṛitarāshṭra e genitore dei cinque principi eroi — Yudhishṭhira, Bhīma, Arjuna, Nakula, e Sahadeva — che erano conosciuti come i Pāṇḍava (cioè i Figli di Pāṇḍu). Quando Pāṇḍu divenne maggiorenne, gli fu dato il trono di Hstināpura da Bhīsma, il suo zio reggente, perché Dhṛitarāshṭra non era considerato adatto a governare il regno a causa della sua cecità. Pāṇḍu, comunque, rinunciò al regno per una maledizione scagliata su di lui mentre cacciava, e si ritirò sull'Himālaya, dove morì. (BG 2)

Pāṇḍu ( i ) (o i Pāṇḍava) I figli di Pāṇḍu, riferito ai cinque fratelli — Yudhishṭhira, Bhīma, Arjuna, Nakula, e Sahadeva — che tentarono di riprendersi il regno di Indraprastha, che era stato loro usurpato dai Kaurava sotto il comando di Duryodhana. Questo portò alla grande battaglia di Kurukshetra, dalla quale i Pāṇḍava uscirono vittoriosi. (BG 2)

Parabrahman lett. Oltre Brahman, cioè quello che è oltre il vertice di una gerarchia cosmica manifestata; nella letteratura Vedica è denominato tat, quello (mentre il mondo della manifestazione è Idam, Questo). Parabrahman è relazionato molto intimamente a Mūlaprakṛiti (la Sostanza-Radice) perché Mūlaprakṛiti è il velo di Parabrahman (NBG 62). Kṛishṇa parla di Parabrahman come del suo Avyaktamūrti, perché Parabrahman "è inconoscibile e diventa conoscibile solo quando si manifesta come Logos" o Īśvara (NBG 62). Parabrahman "è il campo della Coscienza Assoluta, cioè quell'Essenza che è fuori da tutte le relazioni con l'esistenza condizionata, e della cui esistenza cosciente è un simbolo condizionato." (DS I, 15) ( parama, oltre; ātman: 'Spirito Universale.' BG 71) Paramātman è il Sé Supremo. Nell'uomo, Paramātman è i tre principi superiori, con un'enfasi speciale su ātman, quindi il riferimento è alla radice basilare dell'uomo. Il termine potrebbe applicarsi anche alla Razza Radice di una gerarchia e, cosmicamente, al Primo Logos Immanifestato dell'Universo. (parama, oltre; ātman, il Sé: quindi, il che è superiore al Sé dell'ego umano. BG 96)

Pauṇḍra Il nome della conchiglia di Bhīma. (BG 4)

Pāvaka Un nome che si applica a uno degli otto Vasu, il Vasu fuoco. È applicato anche al dio del fuoco, Agni. (significa: luminosità, splendore. BG 74)

Pavana Un nome alternativo del dio del vento, Vāyu: BG 75)

Pimpala (più correttamente, Pippala) L'albero sacro indiano del fico, ficus religiosa, chiamato nel Buddhismo l'albero Bo. Misticamente, l'Albero Cosmico del Mondo, o l'Albero della Vita, l'Aśvattha.

Pitṛi lett. Padri: si riferisce (a) al padre deceduto, ai nonni, e ai grandi bisnonni di una persona, e (b) ai Progenitori della razza umana. A entrambe le classi sono dedicati riti (Śrāddha), e offerti sacrifici (Piṇḍa) — ai quali allude il testo. I Progenitori sono i sette gruppi o classi: le tre classi superiori sono chiamate Arūpa- Pitṛi — comunemente, i Pitṛi Solari o Agnishvātta-Pitṛi, cioè quelli che non hanno alcun 'fuoco creativo' fisico, per quanto siano gli illuminatori della mente dell'uomo ( i Mānasaputra della Dottrina Segreta); le quattro classi inferiori sono chiamate Barishad — comunemente, i Pitṛi Lunari, che modellano il veicolo dell'umanità, cioè le Monadi che si sottopongono all'evoluzione nella Catena Lunare, che trasferisce le proprie energie alla catena terrestre nel momento del suo reincorporamento. (vedi Marīchi)

"I Progenitori dell'Uomo, chiamati in India 'Padri,' Pitara o Pitṛi, sono i creatori dei nostri corpi e dei principi inferiori. Sono i nostri sé, come prime personalità, e noi siamo loro . . . erano 'Esseri lunari.' "(DS II, 88) (BG 68)

Prahlāda Il figlio di Hiraṇyakaśipu della razza Daitya, cioé I Titani che ingaggiarono delle guerre con gli dèi, in una delle quali sconfissero Indra e presero possesso di Svarga (il cielo). Prahlāda, comunque, fin da ragazzo, invece di seguire le usanze dei Daitya, divenne un fervente adoratore di Vishṇu. Lo confessò a suo padre, che in un momento di collera ordinò che suo figlio fosse ucciso. Ma nessuna arma dei Daitya poteva causarne la morte, nemmeno le fiamme del fuoco, dopo di che Prahlāda fu rimandato al suo precettore, e continuò ad adorare Vishṇu. A causa delle persecuzione contro Prahlāda, Vishṇu s'incarnò come l'Avatāra Nara sinha (l'uomo-leone), uccidendo Hiraṇyakaśipu e cacciando i Daitya dal cielo (vedi alla voce Kṛishṇa). Presero dimora a Pātāla sotto il governo di Prahlāda. Alla sua morte, Prahlāda ottenne l'unione con Vishṇu. Il Pādma-Purāṇa racconta che nella precedente nascita era un Brāhmana di nome Soma, desideroso di unirsi a Vishṇu, ma che fu distratto nella sua meditazione dai Daitya, e così rinacque come uno di loro. (BG 75)

Prajāpati lett. 'Signore della progenie,' o signore della creazione: un titolo applicato originariamente a parecchi dèi Vedici, come divinità che presiedevano alla produzione dei mondi e degli uomini; in seguito, fu applicato alla Trimūrti (Brahmā, Vishṇu, Śiva), specialmente a Brahmā come il principale progenitore, evolutore e creatore (come in Manu) . Anche Manu Svāyambhuva è chiamato un Prajāpati, come il figlio di Brahmā, e come il creatore secondario dei dieci Ṛishi, i figli di Brahmā nati dalla mente, da cui è discesa l'umanità, e quindi sono chiamati Prajāpati, che sono enumerati così: Marīchi, Atri, Angiras, Pulastya, Pulaha, Kratu, Vasishṭha, Prachetas (or Daksha), Bhṛigu, Nārada. Occasionalmente, solo i primi sette sono nominati, ed equivalgono ai sette grandi Ṛishi. I Prajāpati "non sono né dèi, né Esseri soprannaturali, ma Spiriti avanzati provenienti da un altro pianeta inferiore, rinati su questo, e che danno a loro volta la nascita, nella presente Ronda, all'attuale Umanità. (DS II, 611)

"Che cosa sono tutti i miti e le genealogie infinite dei sette Prajāpati e dei loro figli, i sette Ṛishi o Manu, e delle loro mogli, figli e progenie, se non un esteso resoconto dettagliato dello sviluppo progressivo e dell'evoluzione della creazione animale, una specie dopo l'altra?" (DS II, 253) (*pra-jan, dare la nascita a; pati, signore. BG 85)

Prakṛiti In senso lato, equivale a Natura — nel senso della grande produttrice degli esseri. Attraverso la Natura agisce lo Spirito perennemente in movimento — Brahmā o Purusha. Così Purusha è Spirito, e Prakṛiti è la sua guaina o il suo velo produttivo. Sebbene Prakṛiti sia comunemente interpretata come 'materia,' per materia va intesa piuttosto la produzione che Prakṛiti porta a termine (cioè i Vikṛiti) mediante lo stimolo o l'influenza di Purusha. Alcune scuole hindū usano Prakṛiti nel senso di Śakti, o Māyā (Illusione). I Vedantini, comunque, insegnano che ogni particella di Prakṛiti contiene Jīva (la vita divina) ed è il śarīra (corpo) di quel Jīva che essa contiene. (pra, in avanti, progresso;*kri, fare, agire; quindi, lett. produzione, portare avanti. BG 65).

Pṛithā Il nome della figlia di Śura, un principe Yāvada, che la diede a suo cugino Kuntī (o Kuntibhoja) che non aveva figli, dal quale fu adottata, per cui era chiamata Kuntī. È la madre di dei Pāṇḍava. In tutto il testo si fa riferimento ad Arjuna come al figlio di Pṛithā (in Sanscrito, Pārtha). (BG 20)

Purujit Un eroe dalla parte dei Pāṇḍava, fratello di Kuntibhoja. (significa: che conquista molti).

Purusha lett. "Uomo': usato nel senso dell'Uomo Ideale (cioè l'Entità Primordiale dello Spazio), anche come l'Uomo Spirituale in ciascun essere umano — equivalente al Sé Spirituale. A volte Purusha sta come un termine intercambiabile con Brahmā, l'Evolutore o 'Creatore.' Sotto un altro aspetto, Purusha (Spirito) equivale alla forza energetica nell'universo, di cui Prakṛiti (Materia) è l'altro polo. Purusha e Prakṛiti non sono che due aspetti primordiali dell'Uno senza Secondo. Producono tutte le cose, ma sono essenzialmente uno e non due. (DS I, 281) (BG 59, vedi anche p. 96)

R

Rājas Nella filosofia Hindū: una delle tre guṇa (qualità) che si espandono attraverso la rete, la fabbrica della Natura: la qualità della brama, dell'attività e della passione (vedi BG capitoli xiv, xviii; BG 28)

Rājarshi: da rājan, 're'; ṛishi, 'saggio': un saggio regale, cioè i re e i principi che seguono il sentiero dell'illuminazione e dell'iniziazione. I Rājarshi in India erano gli stessi dei Re-Ierofanti dell'antico Egitto. "C'erano tre classi di Ṛishi, che furono i primi adepti conosciuti: I Rājarshi regali, re e principi, che adottavano la vita ascetica; i Devarshi divini, i figli di Dharma o dello Yoga; e i Brahmarshi discendenti da quei Ṛishi che fondarono le gotra dei Brahmani, cioè le caste delle razze." (DS II, 501) (BG 30)

Rākshasa ( i ) Popolarmente considerati come demoni (esseri elementali malvagi) che risiedono nella sesta sfera materiale (Rākshasa-loka); nelle scritture, comunque, sono raggruppati in tre classi distinte: (1) esseri elementali non necessariamente malvagi; (2) giganti impegnati nella guerra con gli dèi: (3) spiriti maligni e demoni che infestano i cimiteri, ecc., disturbando i sacrifici e affliggendo l'umanità in vari modi. Nei poemi epici, 'Rākshasa' è applicato piuttosto vagamente a qualsiasi popolo pre-Ariano — come gli abitanti di Lankā sotto il comando di Rāvana — che alla fine furono sconfitti dagli Ariani. "I Rākshasa, considerati nella teologia indiana del popolino come demoni, sono chiamati i 'Conservatori' oltre l'Himalaya. Questo significato doppio e contraddittorio ha origine in un'allegoria filosofica." (DS II, 165) (*raksh, proteggere. BG 65)

Rāma Tre eroi sono conosciuti con il nome di Rāma: Parasu-rama -Rāma-chandra, e Bala-rāma (vedi Kansa).Il secondo è quello al quale è particolarmente applicato questo nome, perché egli è l'eroe del Rāmāyaṇa, dove le sue gesta sono esaurientemente raccontate. Rāma era il figlio maggiore di re Daśaratha della Sūryavanśa (la Dinastia Solare) che regnava ad Ayodhyā; è rappresentato come il settimo Avātara di Vishṇu che s'incarnò alla fine del Tretā-yuga (la seconda 'Grande Età') con lo scopo speciale di liberare l'umanità e gli dèi dalle iniquità causate da Rāvana, il Rākshasa re di Lañkā (Ceylon). Rāma era riconosciuto come il più potente fra coloro che portavano le armi, sebbene fosse abile solo nel tendere l'arco del dio Śiva. A chi avrebbe teso quest'arco, Janaka offriva in matrimonio sua figlia Sītā; così lei divenne la sposa di Rāma. Con l'aiuto di Hanumān, Rāma esaudì il desiderio degli dèi. Il Rāmāyaṇa

"è la mistica narrazione in forma epica della battaglia tra Rāma, il primo re della dinastia divina dei primitivi Ariani — e Ravana è la personificazione simbolica della razza Atlantidea (Lanka). I primi erano le incarnazioni degli Dèi Solari; quest'ultima, dei Deva lunari. Fu questa la grande battaglia tra Bene e Male, tra magia bianca e magia nera, per la supremazia delle forze divine o di quelle terrestri inferiori, o i poteri cosmici . . . Il Rāmāyaṇa — ogni suo rigo va letto esotericamente — dischiude sotto un magnifico simbolismo e allegorie le tribolazioni dell'uomo e dell'anima." (DS II, 495-6) (BG 75)

Ṛik (o Ṛich) Un verso, in particolare un verso sacro recitato nella lode a una divinità — una dei quattro tipi di composizione Vedica. (BG 66)

Ṛishi Un adepto, un veggente, una persona ispirata. Nella letteratura Vedica il termine è impiegato per i veggenti attraverso i quali sono rivelati i vari mantra o inni dei Veda. Il Śatapatha-Brāhmana ne enumera sette:

Gotama, Bharadvāja, Viśvāmitra, Jamadagni, Vasishṭha, Kaśyapa, e Atri. In tempi successivi (nei poemi epici e nei Purāṇa) i Ṛishi sono considerati una classe particolare di esseri, distinti dagli dèi e dagli uomini, i patriarchi o 'creatori' (vedi Maharshi). Il Mahābhārata enumera i sette Ṛishi del primo Manvantara: Marīchi, Atri, Angiras, Pulaha, Kratu, Pulastya, Vasishṭha. Sono chiamati anche i sette grandi Ṛishi (Septarshi) associati specialmente all'Orsa Maggiore — perché, di fatto, sono i sette Reggenti Planetari. I Ṛishi nominati prima sono anche chiamati, nella maggior parte dei testi, i sette Ṛishi "del Terzo Manvantara: questi ultimi si riferiscono sia alla Terza Ronda che alla Terza Razza Radice e alle sue ramificazioni nella Quarta Ronda. Essi sono tutti creatori dei vari esseri su questa Terra, i Prjāpati, e al tempo stesso appaiono come reincarnazioni diverse nei primi Manvantara, nelle prime razze." (DS II, 78) (BG 80)

Rudra ( i ) Un nome alternativo per gli dèi delle tempeste, i Marut, che sono sotto la guida di Rudra o Śiva. "Queste divinità sono solo un altro aspetto, o uno sviluppo, dei Kumāra, che sono i Rudra nel loro patronimico, come molti altri." (DS II, 613) (significa: ululanti o ruggenti. BG 81)

S

Sādhya Una classe di esseri divini: nei Veda sono rappresentati come gli abitanti di regioni superiori agli dèi — nelle opere posteriori sono collocati in Bhuvar-loka (tra cielo e terra). In Manu i Sādhya sono indicati come la progenie dei Soma-sad di Virāj, cioè i figli degli Antenati provenienti dalla Luna — i Pitṛi. I Sādhya sono nominati come 'sacrificatori divini,' " la classe più occulta di tutte" le classi di Pitṛi (DS II, 605) — il riferimento è ai Mānasaputra. (*sādh, realizzato, completato, ottenuto. BG 81)

Sahadeva Il figlio di Mādrī (la seconda moglie di Pāṇḍu) e degli dèi gemelli del cielo, gli Aśvinau. Fratello di Nakula, è ritenuto il più giovane dei cinque principi Pāṇḍava. Sahadeva era eccelso nelle scienze dell'astronomia, che studiò con Droṇa. Era anche molto competente nella gestione del bestiame. (BG 4)

Śaibya Il re dei Śibi (un antica popolazione dell'India): un alleato dei Pāṇḍava. (BG 4)

Sāman Un inno in metrica, o un canto di lode: in particolare, un verso sacro da cantare, piuttosto che recitare o mormorare — uno dei quattro tipi di composizione Vedica. (BG 66)

Sāma-Veda Il terzo dei Veda, che consiste di inni in metrica (di 1549 versi), molti dei quali sono simili al Ṛig-Veda. Gli inni sono sistemati specialmente per essere cantati nei sacrifici o nelle offerte di Soma. Quelli che cantavano gli inni erano chiamati Udgātṛi. (BG 73)

Sañjaya Un sūta (cioè un auriga, come pure un bardo regale che raccontava le eroiche gesta del re, ecc.) del monarca Dhṛitarāshṭra, che era anche ambasciatore di quel re, e portava il nome di famiglia: Gāvalgani. Kṛishṇa Dvaipāyana Vyāsa gli concesse la visione divina di vedere ogni cosa nei dettagli più minuti, per cui raccontò al monarca cieco Dhṛitarāshṭra tutto quello che vedeva durante il conflitto a Kurukshetra. Quindi, come dice la stanza d'apertura, Sānjaya racconta i preliminari della battaglia, quando avviene il dialogo tra Kṛishṇa e Arjuna — dialogo che è conosciuto come la Bhagavad-Gītā (Sānjaya significa 'completamente vittorioso.' BG 1)

Sankalpa (o Saṃkalpa) Un concetto, un'idea che si forma nella mente o nel cuore; quindi, il termine ha un ulteriore significato di volontà, volizione, desiderio. (*saṃklṛip, essere generato, venire in esistenza. BG 31)

Śankara (o Śarṃkara) lett. 'propizio': un nome di Śiva nel suo aspetto di capo dei Rudra (o Marut). Particolarmente, per il suo carattere propizio o benefico, quello del rigeneratore, popolarmente è considerato anche come il creatore. (BG 73)

Sānkhya (o Sāṃkhya) La terza delle sei Darśana o scuole hindū di filosofia, che potremmo tradurre 'la scuola specifica per il calcolo.' Era chiamata così perché questa scuola divideva o 'calcolava' l'universo (e anche l'uomo, come un figlio dell'universo) in 25 principi elementari (Tattwa) — 24 dei quali formavano i veicoli, o i corpi, in cui il vero sé (Purusha) agisce. Questa scuola fu fondata da Kapila.

H. P. Blavatsky afferma che il sistema fu stabilito dal primo Kapila (com'è detto nei Purāṇa) ed elaborato da Kapila, il saggio e filosofo del periodo del Kali-Yuga. (DS II, 572) Ci furono molti saggi di nome Kapila. (*khyā + sam, che significa: narrare. BG 15)

Sannyāsa Rinunciare al mondo e alle cose materiali, e incamminarsi sul sentiero che porta alla conoscenza mistica (sam, con;*ni-as, rifiutare, rinunciare alla vita del mondo). Uno che pratica il Sannyasa è chiamato un Sannyasin. (BG 44)

Śantanu (o Śāṃtanu, il figlio di Prātipa (della Dinastia Lunare), un re dei Kuru, e il fratello più giovane di Devāpi, che divenne eremita quando Santanu usurpò il suo trono. Sposò Gangā, che partorì Bhīshma. In seguito sposò Satyavatī, dalla quale ebbe due figli, Chitrāngada e Vichitravīrya. Santanu era il quattordicesimo discendente di Kuru e fu notevole per la sua devozione, carità, modestia, perseveranza e risolutezza. In seguito, si diceva che ogni uomo decrepito che lui toccava diventava di nuovo giovane. (BG iii)

Sat Essere, o meglio, Esseità — lo stato dell'esistenza. Il termine è usato anche come Reale, in contrapposizione ad Asat (il mondo illusorio). Nei Vedānta equivale all'auto-esistente o Spirito Universale (Brahman): "Sat, di per sé non è 'l'esistente,' né 'l'essere.' Sat è l'eterna radice immutabile, sempre presente, invariabile, dalla quale tutto procede. Ma è molto più della forza potenziale nel seme che porta avanti il processo di sviluppo, o quella che oggi è chiamata evoluzione. È l'eterno divenire, anche se non si manifesta mai." (DS II, 449) (part. presente di*as, essere. BG 119)

Sattva (o Sattwa) La qualità della verità, del bene, della purezza: una delle tre qualità (Tri-guna) che si espandono attraverso la rete o fabbrica della Natura: (BG cap. xiv e xviii) (sat, essere; tva, un suffisso nominativo, da cui: 'vera essenza.' BG 16)

Sātyaki Un membro della famiglia di Kṛishṇa, un parente di Kṛishṇa, di cui era l'auriga. Aiutò anche i Pāṇḍava in battaglia per riconquistare il loro regno. (BG 4)

Satyavatī La figlia di Uparichara, un re di Chedi, e di Adrikā, della quale si racconta che, sebbene fosse un'Apsara ('ninfa celeste'), fu condannata a vivere sulla terra sotto forma di un pesce. Satyavatī era la madre di Vyasa, avuto dal Ṛishi Parāśara, dandolo alla luce su un'isola (dvīpa) — per cui era chiamata Dvaipāyana. In seguito, Satyavatī sposò Antanau (re dei Kuru) partorendo Chitrāngada e Vichitravīrya. (BG iii)

Siddha ( i ) Una classe di esseri semidivini, di grande purezza e perfezione, rappresentati come possessori di otto facoltà sovrannaturali (i Siddhi), e che abitavano il Bhuvar-loka (la regione tra terra e cielo). Nella mitologia successiva, comunque, i Siddha sono i Nirmanakaya o gli 'spiriti' (nel senso di uno spirito individuale o cosciente) dei grandi saggi di sfere su un piano superiore al nostro, che s'incarnano volontariamente per aiutare la razza umana nel suo processo verso l'alto. Da qui derivano la loro conoscenza innata, la saggezza e i poteri." (DS II, 836) (*sidh, ottenere; quindi: 'gli esseri perfetti.' BG 81)

Śikhaṇḍin Un figlio di Drupada, re di Panchāla, che provocò la morte di Bhīsma nel grande conflitto. La storia che riguarda Śikhaṇḍin è uno degli esempi specifici che raffigurano la reincarnazione, di cui è costellato il Mahābhārata. Il poema racconta che Ambā, la figlia maggiore del re di Kāśī, fu rifiutata dal suo promesso sposo per colpa di Bhīshma, dopo di che si ritirò nella foresta, e per le severe penitenze e sacrifici ottenne un dono da Śiva, che le promise un'immediata rinascita come uomo, per infliggere una condanna al suo malfattore Bhīsma. A quel punto, salì sulla pira funebre e immediatamente rinacque come Śikhaṇḍin. (BG 4)

Śiva Il terzo aspetto della Trimūrti hindu, comunemente chiamato il distruttore, ma con l'idea strettamente associata della rigenerazione; quindi, è anche il rigeneratore. Nei Veda non appare il nome Śiva, e nemmeno il concetto della Trimūrti; ma appare la divinità Rudra (associata nei Veda ad Agni, il dio del fuoco), e in tempi successivi Śiva è conosciuto sotto il nome di Rudra, per cui i due sono stati associati. Rudra, nel Ṛig-Veda, è salutato come il signore dei canti e dei sacrifici, il signore della nutrizione, colui che allontana le malattie e assolve i peccati — l'aspetto benefico di Śiva. Nel Mahābhārata, Śiva conserva il suo posto nella Trimūrti, sebbene non sia del tutto così preminente come Vishṇu (il conservatore), tuttavia è riconosciuta la sua divinità per ricevere una parte di venerazione.

Śiva è descritto come la bella divinità bianca con la gola blu — blu a causa dei veleni che egli beve per proteggere in questo modo l'umanità; i suoi capelli sono rossi, ammassati sulla testa in riccioli arruffati — perché Śiva è la divinità protettrice degli asceti. È raffigurato con tre occhi, uno collocato al centro della fronte, che rappresenta l'occhio della saggezza (chiamato dagli occultisti l'occhio di Śiva o il terzo occhio); i tre occhi rappresentano il Tempo: presente, passato e futuro. Una luna crescente sulla fronte indica il Tempo misurato dalle fasi della luna, mentre un serpente intorno al collo indica la misura del Tempo nei cicli; una seconda collana (di teschi umani) rappresenta le razze di uomini che Śiva distrugge continuamente per rigenerare nuove razze. I serpenti che lo circondano rappresentano la divinità come re dei Nāga, e sta anche come simbolo dell'immortalità. Śiva è spesso raffigurato con cinque facce — che rappresentano i cinque elementi manifestati. In molti dei Purāṇa, Śiva è considerato come la più grande delle divinità, per cui è chiamato Mahā Deva (il grande dio). È ritenuto anche la divinità patrona degli esoteristi e il divino protettore degli occultisti mistici. Śiva è "il terrificante e ululante distruttore delle passioni umane e dei sensi fisici, le cui percezioni superiori spirituali e la crescita dell'eterno uomo interiore sono sempre in via di sviluppo — misticamente" (DS I, 459). Śiva, pur essendo una divinità distruttrice, personifica l'Evoluzione e il Progresso: è "al tempo stesso il rigeneratore, che distrugge le cose in una forma, ma le richiama in vita in un tipo più perfetto." (DS, 182): Nella Bhagavad-Gītā si fa riferimento a lui con il suo nome alternativo: Śankara. (BG 73)

Skanda Il nome del dio della guerra, conosciuto anche come Kārttikeya (così chiamato perché era stato allevato dalle Pleiadi, le Kṛittikā), quindi è descritto con sei teste. Allo scopo di distruggere il Daitya Tāraka, che era diventato una fonte potenziale di afflizione per gli dèi a causa delle austerità che egli aveva praticato e le sue rigorose osservanze religiose, fu creato Skanda, che nacque dal seme di Śiva gettato nel fuoco e quindi trascinato fino a Gangā (il fiume Gange). È rappresentato che cavalca un pavone, Paravāni, brandendo un arco in una mano e una freccia nell'altra. Skanda è anche il reggente del pianeta Marte. (BG 74)

Śloka Una stanza, specialmente un tipo particolare di metro epico, chiamato anche Anushṭubh, che consiste di quattro pāda (quartine in versi) di otto sillabe ciascuna; potrebbe anche consistere di 2 righi contenenti ciascuno 16 sillabe. Le sillabe di ogni rigo possono essere deliberatamente alterate, tranne la sillaba quinta, la tredicesima, la quattordicesima, e la quindicesima, che hanno un metodo fisso di composizione. Quanto segue lo indica:

.   .   .   .   ˘   .   .   .   |   .   .   .   .   ˘   -   ˘   .

I puntini rappresentano le sillabe che possono essere sia lunghe che brevi. La sesta e la settima sillaba dovrebbe essere lunga; ma se la sesta è una sillaba breve, allora anche la settima è breve. Come esempio, la prima śloka della Bhagavad-Gītā lo dimostra, sebbene la quattordicesima sillaba sia breve in entrambi i righi:

dharmakshetre kurukshetre samavetâ yuyutsavah
˘    ˘     ˘   ˘   ˘   ˘    ˘   ˘   | ˘   ˘   -   ˘   ˘  ˘  ˘   ˘

māmakāh pāṇḍavāśchaiva kimakurvata sañjaya.
    -   ˘    -      -    ˘  -   -   ˘ |  ˘  ˘  ˘   ˘  ˘  ˘   ˘   ˘

Il Rāmāyaṇa riferisce che la prima śloka fu composta da Vālmikī, che si addolorò talmente nel vedere il compagno di un uccello ucciso da un cacciatore durante il corteggiamento della coppia, che nel suo dolore sviluppò lo spirito dell'arte poetica. La parola Śloka significa suono, o rumore; nel Ṛig-Veda significa un inno o una lode. (*śru, udire. BG 1)

Soma Astronomicamente, la Luna — un mistero occulto, perché la luna è il simbolo sia del bene che del male. "Soma è il dio del mistero e presiede alla natura mistica e occulta nell'uomo e nell'Universo. (DS II, 45)

Nella fraseologia mistica, Soma è una bevanda sacra e mistica che era bevuta dai Brāhmana e dagli Iniziati durante i loro Misteri e rituali sacrificali, producendo visioni mistiche. "Chi condivide Soma si trova vincolato al suo corpo esterno, e al tempo stesso fuori da esso, nella sua forma spirituale. Quest'ultima, liberata dal primo, si libra, per il tempo che dura, nelle regioni eteree superiori, diventando effettivamente 'come uno degli dèi,' e tuttavia conservando nel suo cervello fisico la memoria di quello che vede e apprende." (DS II, 499) "La bevanda di Soma conosciuta agli europei non è una bevanda genuina, ma un sostituto; solo i sacerdoti iniziati possono gustare il vero Soma; e perfino i re e i Rāja, quando sacrificano, ricevono il sostituto." (GT) (BG 67)

Somadatta Un nome favorito nei tempi antichi: molti re assumevano questo appellativo. Il figlio di chi si chiamava così parteggiava per i Kuru: (significa: dono di Soma. BG 3)

Subhadrā La figlia di Vasudeva: una sorella minore di Kṛishṇa, moglie di Arjuna e madre di Abhimanyu (il figlio a cui si fa riferimento nella BG 2). Subba Row suggerisce che il dono della sorella di Kṛishṇa ad Arjuna tipicizza l'unione tra il sesto e il settimo principio nella costituzione umana, cioè Buddhi e Manas. (NBG 9) (significa: di buon auspicio. BG 2)

Śūdra La quarta casta dell'India Vedica, la più bassa, il cui dovere consisteva nel servire le tre classi superiori. (BG 69)

Sughosha Il nome della conchiglia di Nakula. (significa: fare un forte rumore. BG 4)

Śūra Un re della linea Yadava della Dinastia Lunare, che governò sui Śūrasena a Mathurā. Era il padre di Vasudeva e Kuntī, quindi, il nonno di Kṛishṇa. (BG iv)

Sursooty Il nome moderno dell'antico fiume Sarasvati: anche se piccolo, era ritenuto molto sacro presso gli hindū. Anticamente, contrassegnava con il fiume Dṛishadvatī uno dei circondari della regione Āryadeśa e del distretto sacro chiamato Brahmāvarta (Manu, ii, 17). Il fiume si unisce al Gange e allo Jumnā ad Allahābād. (BG iii)

Svasti Un'interiezione: bene, felicemente: quindi, significa un saluto, possa esserti di buon augurio! Salute! Così sia! (Come sostantivo significa successo, prosperità. BG 81)

T

Tamas Una delle tre guṇa — attributi o caratteristiche essenziali di esseri e cose manifestati: la qualità delle tenebre, l'illusione, l'ignoranza. In un senso diverso, Tamas significa anche passività, riposo, inerzia. (BG cap. xiv e xviii.) (BG 41)

Tanhā (Pāli) Il termine buddhista familiare, che significa 'sete,' applicato specificamente alla sete di vita e di esperienza su piani materiali, che è il primo fattore che fa ritornare sulla terra l'Ego Reincarnante per reincorporarsi. Equivale al termine sanscrito tṛishṇā. (BG1)

Tat (anche Tad) Il termine usato dai saggi Vedici per rappresentare quello che non è esprimibile, il principio innominabile — tradotto come tat — in contrapposizione al mondo manifestato, Idam (Questo). (La forma neutra di una particella pronominale usata come sostantivo. BG 119)

U

Uchchaiḥśravas Il cavallo bianco creato dagli dèi al tempo del rimescolamento dell'oceano. Divenne il destriero di Indra, ed è considerato come il cavallo modello, il 're dei cavalli.' (significa: forte nitrito. BG 74)

Uraga (gli) Una classe di serpenti semidivini, di solito associati ai Nāga e rappresentata come un serpente dalla faccia umana. W. Q. Judge commenta: "deve riferirsi ai grandi Maestri di Saggezza, che spesso erano chiamati Serpenti." (BG 80) (significa: strisciando, cioè un serpente.)

Uśanas Un antico saggio, veggente e profeta, discendente dei Kavya o Kāvya; è anche il nome del pianeta Venere e del suo reggente. (BG 76)

Ūshmapā Una classe di esseri semidivini associati ai Pitṛi (Ūshma, calore, vapore, flusso. BG 81)

Uttamaujas Un guerriero alleato dei Pāṇḍava. (significa: di eccellente valore. BG 2)

V

Vaiśya lett. 'un uomo che sta sul suolo,' quindi un contadino o un uomo che lavora. La terza delle quattro classi sociali o caste in cui era divisa la società in Hindūsthān. Si riferisce anche a un uomo la cui occupazione era quella del commercio o dell'agricoltura. (BG 69)

Vaivasvata-Manu Il nome del settimo Manu che sorveglia il presente Manvantara: lett. il Manu nato dal sole, chiamato anche Satya-vrata per la sua pietà. A volte è descritto come uno dei 12 Āditya, ed è considerato il progenitore dell'attuale razza di esseri viventi. Nel Mahābhārata, Vaivasvata è l'eroe del diluvio. Come racconta la storia, mentre stava officiando le devozioni sul lato del fiume, fu interrotto nella sua adorazione da un piccolo pesce che lo supplicò di proteggerlo da un pesce più grosso che stava per farne la sua vittima. Mosso a compassione, Vaivasvata mise il pesciolino in vaso, ma rimase molto stupito perché il vaso non riusciva più a contenerlo. Quindi, il pesce fu messo in un contenitore più largo. Ma il pesce cominciò a crescere così in fretta, che nessun bidone era abbastanza largo da contenerlo, per cui il fiume diventò la sua dimora. Il pesce si allargò così tanto di circonferenza, che dovette essere trasferito nell'oceano. Allora il pesce comandò a Vaivasvata di costruire un vascello e salirvi insieme ai 7 Ṛishi e fissare la prua al suo corno, perché presto un diluvio avrebbe sommerso la terra. Avendo fatto come gli era stato suggerito, Vaivasvata e i Ṛishi salirono sul vascello e furono rimorchiati dal pesce e così si salvarono dal diluvio. Alla fine furono portati su Himavat (l'Himalaya) dove Vaivasvata approdò, dopo di che ripopolò la terra. "Nel Sataphata Brāhmana, Manu trova che 'il Diluvio aveva spazzato via tutte le creature viventi, e lui era stato lasciato solo' — cioè, rimaneva solo il seme della vita della precedente dissoluzione dell'Universo, o Mahā-pralaya, dopo un giorno di Brahmā'; e il Mahābhārata si riferisce semplicemente al cataclisma geologico che travolse quasi tutta la Quarta Razza per far posto alla Quinta. Quindi, Vaivasvata Manu è mostrato con tre attributi distinti nella nostra Cosmogonia esoterica: (a) come il 'Manu Radice' sul Globo A nella Prima Ronda; (b) come il 'seme della vita' sul Globo D nella Quarta Ronda; e (c) come 'il Seme dell'Uomo' all'inizio di ogni Razza Radice — specialmente della nostra Quinta Razza." (DS II, 146-7) (vivasvat, il sole. BG 30)

Vāraha-Upanishad  Il titolo di un testo della Scuola Vāraha del Krishṇa-Yajur-Veda, non una delle Upanishad Vediche. (BG 31)

Varṇa-saṅkara (o saṃkara) Confusione, o mescolanza di caste attraverso matrimoni misti. (varṇa, una casta — riferendosi particolarmente alle quattro caste come sono enumerate nella Bhagavad-Gītā; (saṃkara: mescolandosi o fondendosi insieme. BG 7)

Varsha Un distretto. La geografia del Mahābhārata descrive sei dvīpa: quella centrale, Jambu-dvīpa, corrispondente alla nostra terra (Globo D). Questa dvīpa è divisa in nove parti chiamate varsha, come segue: (1) Bhārata, o India, situata a sud dell'Himālaya; la divisione meridionale; (2) Kimpurusha: (3) Harivasha: (4) Ilā-vṛita, il varsha centrale che contiene il monte Meru; (5) Ramyaka; (6) Hiraṇ-māyā; (7) Uttara-Kuru; (8) Bhadrāśva a est di Hā-vṛita; (9) Ketu-māla, a ovest del varsha centrale. Uttara-Kuru era il varsha dei Kuru settentrionali, descritto come un paese di beatitudine eterna. (BG ii)

Varuṇa Una delle divinità più antiche dei Veda, considerato come la personificazione del cielo che tutto contiene, il creatore e il sostenitore del cielo e della terra, il re dell'universo, re degli dèi, in possesso di una conoscenza illimitata, che governava principalmente, come sempre, la notte, mentre Mitra regnava sul giorno. In periodi posteriori, Varuṇa era considerato il capo degli Aditya; ancora più tardi, fu assegnato alle acque come dio del mare e dei fiumi, seduto sul Makara. Nei Veda, Varuṇa è connesso all'elemento dell'acqua e alle acque dello spazio, ma con il decrescere dei cicli l'idea originale associata alle divinità degli antichi fu persa di vista nel tentativo di attribuire un significato materiale agli dèi, e come per le altre divinità — Varuṇa fu associato ai fluidi visibili. Varuṇa è rappresentato come il reggente della zona occidentale. Alla divinità è associato anche un carattere morale: egli è rappresentato mentre lega tutti i mortali colpevoli con un cappio (cioè il mortale era vincolato nella rete delle sue azioni). "Varuna, 'senza il quale nessuna creatura può battere un ciglio," fu degradato, come Urano [Ouranos] e, come lui, cadde nella generazione, la sua funzione . . . essendo stato fatto discendere dal cielo alla terra con un antropomorfismo exoterico." (DS II, 268) (BG 75)

Vāsava Un appellativo dato a Indra, specialmente nel suo carattere di capo dei Vasu. (BG 73)

Vāsudeva lett. 'Figlio di Vasudeva' — un nome applicato a Kṛishṇa, a causa della sua nascita nella famiglia di Vasudeva e Devakī. Anche il Mahābhārata spiega che Kṛishṇa è chiamato così perché la sua dimora (vasanāt) è in tutti gli esseri, essendo nato come un Vasu da un grembo divino. (BG 55)

Vāsuki Il re dei Nāga in Patāla. A volte è rappresentato uguale al serpente di Vishṇu, Śesha o Ananta; altre volte è diversificato (come nel testo della BG 74).

Vasu Una particolare classe di divinità, otto di numero, associate a Indra; formano una delle nove Gaṇa (classi di divinità) menzionate nei Veda. I Vasu sono chiamati: Āpa (acqua) Dhruva (la stella polare), Soma (la Luna), Dhara o Dhava (la Terra), Anila (vento), Pāvaka o Anala (fuoco), Prabhāsa (aurora), Pratuyūsha (luce). Il Rāmāyaṇa li reputa figli di Aditi: Un verso in Manu dice: "Il saggio chiama Vasu i nostri antenati (iii, 284). (BG 74)

Vāyu Il dio del vento, chiamato anche Pavana. Nei Veda è associato a Indra, e viaggia sul carro d'oro degli dèi del cielo. Un inno lo definisce il genero di Tvashtṛi, (l'artificiere degli dèi) mentre un altro racconta che ebbe origine dal respiro di Purusha. La sua particolare reggenza è la zona a nord-ovest dei cieli. Nel Mahābhārata il dio del vento è rappresentato come il padre di Bhīma e anche come il padre di Hanumān. Il Vishṇu-Purāṇa fa di Vāyu il re dei Gandharva. L'antico significato legato all''aria' era "uno dei cinque stati della materia, cioè quello gassoso; uno dei cinque elementi, chiamato vento, Vāta . . . La trinità degli dèi mistici nel Kosmo intimamente legati l'un l'altro, è composta da 'Agni (fuoco) il cui posto è sulla terra; Vāyu (aria, una delle forme di Indra), il cui posto è nell'aria; e Sūrya (il sole), il cui posto è nell'aria.' (Nirukta) Nell'interpretazione esoterica, questi tre principi cosmici corrispondono ai tre principi umani, Kāma, Kāma-Manas, e Kāma, il sole dell'intelletto. (GT) (BG 85)

Veda L'antica letteratura sacra degli Hindu. Vi sono quattro Veda conosciuti: il Ṛig-Veda, il Yajur-Veda, il Sāma-Veda, e l'Atharva-Veda. La loro origine è attribuita alla rivelazione divina, (śruti), e gli hindu, come pure gli studenti di Teosofia, datano il loro periodo a molte migliaia di anni prima dell'era cristiana. Affermano che i Veda furono insegnati oralmente per migliaia di anni e alla fine furono compilati sulle rive del lago sacro Mānasa-Sarovara da Veda-Vyāsa (all'incirca il 3100 a. C.) Appare evidente che l'autorità originale non è di una sola persona, sebbene vari inni siano attribuiti a vari Saggi Vedici. Sono scritti in uno stile di Sanscrito diverso da ogni altra opera letteraria. I Veda sono suddivisi in due parti principali: la parte mantrica (inni in versi), e la parte Brāhmaṇa, che consiste di trattati in prosa liturgici, ritualistici e mistici, strettamente connessi agli Āraṇyaka e alle Upanishad. "Tra i Veda e i Purāṇa c'è un abisso del quale entrambi sono i poli, come il settimo principio (atmico) e il primo o più basso (il corpo fisico) nella costituzione Settenaria dell'uomo. Il linguaggio primitivo, puramente spirituale dei Veda, concepito molti decenni di millenni precedenti, aveva trovato la sua espressione puramente umana allo scopo di descrivere eventi che ebbero luogo 5000 anni fa, la data della morte di Kṛishṇa (e da quel giorno cominciò per l'umanità il Kali-Yuga o Età Nera): (DS II, 527) (*vid, conoscere. BG 15)

Vedānta lett. 'Fine dei Veda,' cioè la conoscenza completa dei Veda. Il nome è particolarmente associato alla scuola Uttara-mimānsā (il terzo dei sei sistemi hindu di filosofia), perché questa scuola studiava particolarmente l'ultima parte dei Veda. Il famoso fondatore del Vedānta è Vyāsa, ma il suo principale esponente fu Śankarāchārya, che insegnò soprattutto l'aspetto Advaita ('non-duale'), per cui i suoi seguaci sono chiamati Advaita-Vedāntini. In breve: il sistema Advaita insegna che non esiste niente di reale, tranne il Sé Uno, o l'Anima dell'Universo, chiamato Brahman o Paramātman, e il Jīvātman (l'anima umana individuale o monade), e infatti tutte le manifestazioni fenomeniche della natura sono realmente identiche a Paramātman; la loro apparente esistenza separata è dovuta ad Ajñāna (ignoranza, 'non-saggezza'). Un'appropriata comprensione del Vedānta e delle Upanishad rifiuta quest'Ajñāna. "I Veda sono, e rimarranno per sempre, nell'esoterismo del Vedānta e delle Upanishad, lo specchio della Saggezza eterna." (DS II, 484) Il più fedele esponente della filosofia esoterica "è il Vedānta com'è esposto dagli Advaita Vedāntini." (DS I, 55) (BG 108)

Vichitravīrya Il figlio più giovane di Śantanu e di Satyavatī, che diventò re dei Kuru quando suo fratello maggiore Chitrāngada (un uomo arrogante e orgoglioso) fu ucciso da giovane in una battaglia con un Gandharva dallo stesso nome. Vichitravīrya si sposò con Ambikā e con Ambālikā, le due figlie del re di Kāśī, ma morì senza figli. (BG iii)

Vikarṇa Uno dei cento figli di Dhṛitarāshṭra, che seguì l'esempio del fratello maggiore Duryodhana. (BG 3)

Virāṭa Il rāja di Virāṭa (un paese nei distretti centrali o nel nord-ovest dell'India — all'incirca dove si trova l'odierna provincia di Berar. Fu alla corte di questo re che i Pāṇḍava passarono l'ultimo anno d'esilio sotto mentite spoglie — come era stato loro imposto da Duryodhana. Per i molti servigi a lui resi dai Pāṇḍava, Virāṭa prestò il suo aiuto ai figli di Pāṇḍu. (BG 2)

Vishṇu Il secondo aspetto della Trimūrti Hindu (Brahmā ne è il primo, e Śiva il terzo): la divinità più importante di tutte, specialmente nel suo carattere di Sostenitore e Conservatore di tutta la manifestazione — equivalente al Logos. Nei Veda, comunque, il concetto della Trimūrti non è presente: Vishṇu è menzionato con gli altri dèi come la personificazione del sole e della luce, ed è descritto che attraversa i cieli a tre passi, un'allegoria per spiegare le tre manifestazioni della luce — fuoco, lampo, e sole. È nei poemi epici e nei Purāṇa che Vishṇu diventa la divinità più venerata, cavalcando Garuḍa, o anche riposando su Ananta. Brahmā ('il creatore') è rappresentato che nasce da un loto spuntato dall'ombelico di Vishṇu mentre dormiva sulle acque dello spazio; Śiva ('il distruttore') invece scaturì dalla sua fronte. Nel suo carattere di conservatore, Vishṇu si manifesta nel mondo sotto l'aspetto di un Avatāra, e sono elencati i dieci principali Avatāra, di cui il settimo e l'ottavo sono Rāma e Kṛishṇa. (vedi BG 30-1) "Vishṇu è, come pure Adam Kadmon, l'espressione dell'universo stesso; e . . . le sue incarnazioni non sono altro che i vari e concreti incorporamenti delle manifestazioni di questo Stupefacente Tutto." (Iside Svelata II, 277) (*viś, entrare, pervadere. BG 73)

Viśva (o Viśve-deva) Una classe di divinità: secondo i Purāṇa, rappresentati come i figli di Viśva (la figlia di Daksha), e chiamati: Vasu, Satya, Kratu, Daksha, Kāla, Kāma, Dhṛiti, Kuru, Purūrava, Mādrava, Rochaka (o Lochana), Dhvani. Sono venerati particolarmente con la Śraddha — una cerimonia di omaggio reverenziale ai parenti deceduti, con l'offerta di acqua ogni giorno (com'è prescritto da Manu); e sono supplicati nelle funzioni del Piṇḍa — palle di riso e farina offerte a intervalli regolari. (BG 7) (significa: onnipervadente. BG 81)

Vitteśa lett. 'Signore dell'abbondanza,' il nome di Kuvera (o Kubera), il dio dell'abbondanza. Nei Veda, Kuvera è rappresentato come il capo degli esseri malvagi o spiriti delle tenebre (con il nome di Vaiśravaṇa, cioè il figlio che Viśrava ebbe da Iḍaviḍā). In seguito, Kuvera è rappresentato come il signore delle ricchezze e dell'abbondanza, il capo degli Yaksa, e il reggente della zona settentrionale, corrispondendo così a uno dei quattro grandi Guardiani (Mahārāja): Nel Rāmāyaṇa, Kuvera possedeva Lañkā, ma ne fu espulso dal fratellastro Rāvana; dopo di che, mise in pratica tali austerità, che gli fu concessa la reggenza del dominio dell'abbondanza, e nominato guardiano della zona settentrionale. È descritto come un uomo bianco dal corpo molto deforme, con tre gambe e solo otto denti. (BG 73)

Vivasvat lett. 'il risplendente' — un nome del Sole. Nella poesia epica (e anche nel Ṛig-Veda) è rappresentato come il fratello di Vaivasvata-Manu, il settimo e attuale Manu. (* vi-vas, risplendere. BG 30)

Vṛishṇi Un discendente di Yadu, il primo della linea degli Yadava che si estinse con Kṛishṇa. Kṛishṇa era quindi chiamato Vārshṇeya 'discendente di Vṛishṇi.' Yadu era anche il fratellastro di Puru (l'antenato dei Kuru e fondatore della linea dei Paurava). (BG 27)

Vyāsa Il celebre saggio e autore, considerato il compilatore originale e l' elaboratore dei Veda e del Vedānta-sūtra (chiamato quindi Veda-vyāsa — poiché vyāsa significa un elaboratore, un compilatore): Nel Mahābhārata è raccontato che Vyāsa era il fratellastro di Vichitravīrya e Bhīshma, perché i suoi genitori erano i Ṛishi Parāśara and Satyavatī. Per la sua carnagione scura era chiamato Kṛishṇa, e per il fatto che era nato su una dvīpa (isola) nello Jumnā, ricevette il nome Dvajpāna. Sebbene si fosse ritirato nel deserto per diventare eremita, sua madre lo implorò di sposare Ambikā e Ambālika, le vedove senza figli di Vichitravīrya, e così diventò il padre di Dhṛitarāshṭra e Pāṇḍu — progenitori rispettivamente dei Kuru e dei Pāṇḍava, da cui fu intrapreso il grande conflitto. Vyāsa era anche considerato il compilatore del Mahābhārata, il narratore della Bhāgavata-Purāna, e autore di altri Purāṇa. I Purāṇa menzionano 28 Vyāsa — rappresentati come incarnazioni di Brahmā o di Vishṇu, che discendono sulla terra per elaborare e promulgare i Veda e altri śāstra. 'Vyāsa' è un termine dato ai guru più elevati in India, "perché ciò che egli spiega, interpreta e amplia, è un mistero per il profano . . . Vi sono molti Vyāsa in Aryavarta; uno era il compilatore ed elaboratore dei Veda; un altro era l'autore del Mahābhārata — il ventottesimo Vyāsa o rivelatore in ordine di successione — e l'ultimo commentatore fu l'autore dell'Uttara Mīmānsā, la sesta scuola del sistema di filosofia indiana. Fu anche il fondatore del sistema Vedānta." (GT) (BG iii e 72)

Y

Yadu Il sovrano del paese a ovest del fiume Jumnā, il cui padre era Yayāti e la madre Devayānī; Il fratellastro, Puru, fondò la linea Paurava del Chandra vau (Dinastia Lunare) al quale appartenevano i Kuru e i Pāṇḍu. Yadu inaugurò il ramo della dinastia alla quale appartenevano Vasudeva e Kṛishṇa, perciò Kṛishṇa era chiamato 'il figlio di Yadu.' Ma la linea Yādava si estinse con Kṛishṇa. (BG 85)

Yajur (o Yaius) Una preghiera o formula sacrificale: anche un termine tecnico per i mantra da pronunciare in un modo particolare durante un sacrificio, scritta di solito in prosa, e quindi distinta dal Ṛik e dal Sāman. Anche il nome del secondo dei quattro Veda. (BG 60)

Yaksha (gli) Una classe di esseri celesti generalmente associati a Kuvera, il dio dell'abbondanza, e assegnati al settimo degli otto loka dell'esistenza materiale (Yaksha-loka). Sono considerati esseri benevoli per l'umanità e quindi chiamati Puṇya-jana ('persone buone') nelle scritture. Nel folklore tradizionale dell'India, comunque, sono ritenuti demoni malvagi, che a volte ossessionano gli uomini, ecc. H. P. Blavatsky fornisce questa spiegazione: "Nella scienza esoterica essi sono semplicemente influenze (elementali) del male che, nella visione di veggenti e chiaroveggenti, discendono sugli uomini quando si dispongono a ricevere tali influenze, come una cometa ignea o una stella cadente." (GT) (BG 73)

Yama Il dio dell'Oltretomba. Nei Veda, Yama è indicato come il figlio del Sole, Vivasvat: fu lui a morire per primo, e per primo partì per il mondo celeste. L'interpretazione è che "Yama è l'incorporamento della razza che fu la prima a essere dotata di coscienza (Manas), senza la quale non c'è né Cielo né l'Ade." (GT) Nei poemi epici, Yama è il figlio di Sañjñā (coscienza) avuto da Vivasvat, e Fratello di Manu. Il suo compito è di giudicare i morti, assiso sul trono del giudizio (Vichā rabhū) nel suo palazzo (Kālīchī). L'anima di un dipartito entra nella regione dei morti (Yamapura) e si presenta davanti a Yama, mentre l'archivista, Chitragupta, legge ad alta voce i suoi resoconti dal grande registro (Agra-saṃdhānī). Nella sentenza che segue, il deceduto è assegnato alla dimora dei Pitṛi (Devachan); se colpevole, deve andare in uno dei 21 inferni, a seconda del grado della colpa; oppure è inviato sulla terra per rinascere in un'altra forma. Per il suo giudizio, Yama è chiamato anche il dio della giustizia, Dharma. È raffigurato che cavalca un bufalo, armato di una mazza e di un cappio, con i quali garantisce che i deceduti vadano nei suoi regni. Yama ha una sorella gemella, Yamī, che, secondo un antico inno, lo esorta sempre a prenderla come moglie. L'insegnamento esoterico è "che Yama-Yamī è il simbolo del Manas duale, in uno dei suoi significati mistici. Ad esempio, Yama-Yamī è sempre rappresentato di colore verde, vestito di rosso, e che dimora in un palazzo di rame e ferro." (GT)

"il Chitragupta hindu che legge ad alta voce il resoconto della vita di ogni Anima dal suo registro, chiamato Agra-Gupta; 'i Consulenti' che leggono i loro resoconti dal cuore del defunto, che diventa come un libro aperto davanti a Yama, Minosse, Osiride, o Karma — che sono tutti copie e varianti dei Lipika e delle loro Registrazioni Cosmiche." (DS I, 105) (BG 75)

Yoga Il termine, letteralmente, significa un'unione, un mettere insieme. È il nome di una delle sei Scuole di Filosofia o sistemi del pensiero hindu (Darśana) ed è chiamata così perché cercava di ottenere l'unione o l'unità con l'essenza divino-spirituale nell'uomo, che è effettivamente identica all'essenza spirituale o Logos dell'universo. La scuola fu fondata da Patañjali, e i suoi insegnamenti esistono ancora in un'opera scritta da lui e conosciuta come Gli Aforismi dello Yoga. Comunque, anche prima dei suoi tempi, un sistema notevolmente più grande e inclusivo era stato inculcato per ere; un antico saggio, Yājñavalkya, aveva delineato le stesse dottrine. Ci sono molti sistemi basati sullo Yoga, tutti derivati dal sistema originale, e quindi tutti usano il nome yoga, così: Jñāna-Yoga, Rāja-Yoga, Bhakti-Yoga, Karma-Yoga, ecc. Ciascuno di essi pone l'accento su un particolare aspetto dell'insegnamento. La Bhagavad-Gītā stessa è un manuale del sistema superiore di Yoga. (*yuj, unire, aggiogare. BG 15)

Yogī (nominativo: Yogin) Un devoto, che pratica il sistema Yoga. Nell'antichità questi devoti praticavano l'etica più alta senza ricorrere alle osservanze religiose prescritte e ai sacrifici; oggi, comunque, il termine è spesso applicato a qualsiasi devoto in India, sia che pratichi lo Yoga, oppure no. (BG 44)

Yudhāmanyu Un guerriero dalla parte dei Pāṇḍava. (significa: avente uno spirito bellicoso. BG 2)

Yudhishṭhira Il figlio maggiore di Kuntī e dio della giustizia, Dharma. Nel Mahābhārata, Yudhishṭhira non è presentato come un guerriero valoroso ma è raffigurato come eccellente nelle virtù regali della giustizia e di una saggia sovranità sul suo regno di Indraprastha, che gli fu concesso da Dhṛitarāshṭra, e che era adiacente ad Hastināpura. Per gli intrighi dei Kaurava sottomessi a Duryodhana, Yudhishṭhira perse il suo regno (a causa di una scommessa in un gioco di dadi), e come risultato di una seconda puntata di gioco, fu esiliato per 13 anni insieme ai suoi quattro fratelli. Alla fine di quel periodo d'esilio, Yudhishṭhira cominciò a negoziare per ripristinare la pace nel suo regno, e Kṛishṇa lo aiutò. Ma non ci riuscì, e il conflitto era imminente. Yudhishṭhira fu dissuaso dal ritirarsi dalla battaglia da Kṛishṇa, che gli assicurò la vittoria. Alla fine della guerra, egli fu incoronato a Indraprastha, come pure ad Hastināpura, da Dhṛitarāshṭra, e la sua eminenza fu in seguito assicurata compiendo il sacrificio dell'Aśvamedha. Dopo la morte di Kṛishṇa, i Pāṇḍava decisero di abbandonare il mondo, e la chiusura del libro dell'epopea descrive il loro viaggio e la loro morte, uno per uno, tranne che di Yudhishṭhira. Egli discende all'inferno, poi ascende al cielo (Svarga) ma ci rinuncia perché il suo cane fedele si rifiutò di entrare con lui; per la sua compassione, egli vi è comunque riammesso dal suo parente, il dio Dharma.

"Yudhishṭhira, il primo Re della Sacea, che aprì l'era del Kali-Yuga, che deve durare 432.000 anni — 'un Re e un uomo vissuto effettivamente 3102 a. C.,' è connesso, nome e tutto, al grande Diluvio ai tempi del primo affondamento di Atlantide. Egli è 'l'Yudhishthira nato sulla montagna dalle cento vette all'estremità del mondo, oltre la quale nessuno può andare' e subito dopo il diluvio.' " (DS I, 369-70) Simbolicamente, Yudhishṭhira rappresenta l'Ego Superiore nell'uomo. (significa: deciso o costante in battaglia. BG 4)

Yuga Un'età, un periodo, che si riferisce soprattutto a un'età del mondo, della quale ne sono enumerate quattro nella cronologia hindu, come segue:

Kṛita-yuga o Satya-yuga, lett. 'età dell'oro' — l'età della purezza e dell'innocenza, quando la virtù regna e non c'è ingiustizia nel mondo, e che dura per un periodo di 4000 anni degli dèi:

Tretā-yuga, 'l'età delle triadi,' o 'l'età dei tre fuochi sacri,' cioé tre dei quattro fuochi sacri che sono venerati — l'Età dell'Argento, che dura per 3000 anni degli dèi.

Dvāpara-yuga, 'l'età del numero due,' quando tutte le cose sacre sono dimezzate, l'Età del Bronzo, di 2000 anni degli dèi.

Kali-Yuga, l'età delle tenebre, o l'Età Nera, quando prevale il conflitto, l'Età del Ferro, la cui durata è di 1000 anni degli dèi. Ogni yuga è preceduto da un periodo chiamato un Sandhyā (crepuscolo — o un periodo di transizione, o alba), che è seguito da un periodo chiamato Sandhyāy ('una parte di un tramonto'); ciascuno di questi due periodi equivale, in lunghezza, a un decimo del suo concomitante anno degli dèi, poiché un anno degli dèi è descritto come 360 giorni dei mortali e, aggiungendo i Sandhyā e i Sandhyāij, gli yuga sono:

La somma dei 4 yuga equivale a 1 Mahā-yuga, 4.320.000 anni. Il riferimento (BG 61) al Giorno di Brahmā come equivalente a mille rivoluzioni degli yuga, indica i Mahāyuga, cioè la somma dei regni dei 14 Manu (ciascuno con i suoi concomitanti Sandhyā e Sandhyāy, per un totale di 4.320.000.000 anni, o un 'Giorno di Brahmā.' La Notte di Brahmā ha la stessa durata.

Nel Mahābhārata il simbolo dei quattro yuga è un toro: durante il Kṛita-yuga il toro è fermo sulle sue quattro zampe, e la giustizia prevale; nel Tretā-yuga, il toro ha tre zampe, con il significtao che un terzo della giustizia è amministrata; nel Dvāpara-yuga il toro ha solo due zampe, e vuol dire che solo metà della giustizia è amministrata; ma nel Kali-Yuga, con una sola zampa, solo un quarto della giustizia è presente, e l'ingiustizia è dilagante. La vita dell'uomo durante gli yuga è diminuita di 100 anni, nella serie di 4, 3, 2 — cominciando dai 400 anni dal Kṛita-yuga. "Nello Yuga Kalpa hindu abbiamo la regolare serie discendente di 4, 3, 2, con cifre moltiplicate, quando l'occasione lo richiede per scopi esoterici." (DS II, 307) "Tutte le razze hanno i loro cicli, che causano una grande differenza. Ad esempio, la Quarta Sottorazza degli Atlantidei era nel suo Kali-Yuga quando fu distrutta, mentre la Quinta era nel suo Satya o Kṛita Yuga. La Razza Ariana è ora nel suo Kali-Yuga, e continuerà ad esserlo per o9ltre 427.000 anni." (DS II, 147) (BG 61)

Yuyudhāna Uno dei nomi di Sātyaki. Un parente di Kṛishṇa, di cui era l'auriga, combattendo dalla parte dei Pāṇḍava. (significa: bellicoso. BG 2)


[1] Il crore (spesso abbreviato con cr) è un'unità del sistema di numerazione indiano pari a dieci milioni (10 000 000,10). — n. d. t.



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